Ultime ore di campagna elettorale nel Regno Unito per i partiti, poi domani le urne si apriranno e in serata si conoscerà l’esito delle elezioni 2019, convocate per la seconda volta nella storia a dicembre (la prima fu nel 1923). Il primo exit poll sarà alle 22, le 23 in Italia.
Intento a rintuzzare gli attacchi sull’NHS sferrati dai laburisti e dai media britannici, il premier ieri ha inscenato uno dei tanti stunt della sua campagna elettorale, apparendo in un cantiere come pilota di una gru che distruggeva un muro con la scritta “gridlock”, un “lucchetto” che rappresentava simbolicamente il Parlamento britannico. Sul davanti del mezzo appariva la scritta “get Brexit done”, lo slogan più ripetuto dal leader Tory in questa campagna elettorale.
Ieri sera YouGov ha pubblicato un sondaggio che dava la maggioranza assoluta ai Tories con 339 seggi ai Comuni. Sedici in più di quelli richiesti per formare un governo monocolore conservatore. Il margine di tolleranza molto ampio su quanto previsto fa sì che però Johnson non dorma sonni tranquilli: i Conservatori, secondo il modello impiegato per stabilire la ripartizione delle quote, potrebbero avere dai 311 ai 367 seggi. Naturalmente con 311 ci sarebbe un Parlamento bloccato, l’hung Parliament che turba le notti di Boris e del suo team.
Ma il martedì prima delle votazioni non è stato facile nemmeno per Jeremy Corbyn l’uomo che ambisce a detronizzare Johnson. Prima un audio rubato a uno dei suoi collaboratori principali, il ministro ombra della Sanità, Jonathan Ashworth, lo ha messo in seria difficoltà. Ashworth definiva Corbyn “inadatto a governare” e “senza alcuna speranza di vincere le elezioni”. In serata i laburisti hanno provato a mettere una pezza sostenendo che si trattasse solo di uno scambio di opinioni scherzoso tra lo stesso Ashworth e un collega Tory. Poi è arrivata la lettera di 15 ex deputati laburisti che, sulle pagine del Sun, hanno invitato gli elettori a non votare il partito proprio a causa della leadership di Corbyn. Quest’ultimo continua imperterrito la campagna elettorale: da quando è partita ha recuperato consensi ma non sembra in grado di poter arrivare a quei 326 seggi che gli consentirebbero di formare un governo di “radicale trasformazione del paese”, come egli stesso lo ha definito.
In casa Libdems ci si prepara invece a un risultato pessimo: Jo Swinson non è riuscita a coalizzare su di sé i voti di tutti i remainers del Regno Unito e, man mano che ci si è avvicinati al giorno del voto, lo storico terzo partito britannico ha perso slancio e forza. Il programma del partito, intitolato “Fermiamo la Brexit. Costruiamo un futuro migliore”, non ha sfondato e lascia una questione di fondo che verrà risolta solo domani sera quando sapremo l’esito del voto: la Brexit è veramente l’unico driver di voto dei cittadini britannici in queste elezioni?