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Russia Cina Iran

Abbiamo capito nulla dei regimi in Russia, Cina e Iran

L'opinione pubblica, anche in Italia, non ha compreso il deterioramento dei regimi in Russia, Cina e Iran. L’intervento di Marco Mayer, professore di Intelligence e Sicurezza nazionale alla Lumsa.

Negli ultimi cinque anni Russia, Iran e Cina sono profondamente cambiati. L’involuzione autoritaria in ambito interno e l’inedita aggressività in campo internazionale costituiscono una realtà sgradevole quanto ampiamente documentata sul piano dell’evidenza empirica.

Il problema di fondo è che in numerosi paesi del mondo – Italia compresa – l’opinione pubblica non ha ancora messo bene a fuoco quanto nel giro di pochi anni la situazione di questi paesi sia radicalmente peggiorata.

Il regime di Mosca non è più quello in cui Alexei Navalny poteva candidarsi a sindaco di Mosca e svolgere quasi regolarmente la sua campagna elettorale. La Cina di oggi è quella in cui 200.000 cittadini di Hong Kong sono scappati per le leggi repressive introdotte nella ex colonia britannica nel biennio 2020-21 dal Partito comunista cinese. Il regime iraniano nel 2023 ha eliminato i pochi spazi di libertà che esistevano nel paese colpendo duramente centinaia di migliaia di giovani e donne che protestavano per la morte di Mahsa Amini.

La Cina ha fornito e fornisce materie prime e materiali duali di supporto all’invasione russa in Ucraina. L’Iran alimenta le attività belliche e terroristiche degli Houthi che bloccano il Mar Rosso, degli Hezbollah in Libano e di Hamas a Gaza. La Federazione russa con i suoi mercenari (ribattezzati da Gruppo Wagner ad Africa Corps) sta destabilizzando il Niger, il Mali, il Burkina Faso e altri paesi africani.

In una situazione internazionale così negativa la prima cosa da fare è essere consapevoli di quello che è accaduto negli ultimi cinque anni e prenderne coscienza sino in fondo, cosa che purtroppo in Europa non sta ancora accadendo.

In Giappone, India, Filippine e in altri paesi asiatici si è fatta strada la consapevolezza della minaccia rappresentata dalla più recente politica cinese e dal riarmo del Dragone. Un analogo allarme si è ampiamente diffuso in Finlandia, Svezia e nei paesi baltici nei confronti della Russia. Il timore per l’ espansionismo iraniano è presente in vari paesi del Golfo, in Egitto e in altri paesi mediterranei danneggiati dal blocco di Suez.

Tuttavia – a meno di tre mesi dalle elezioni per il Parlamento di Strasburgo – la maggioranza dei cittadini europei non è adeguatamente informata su quanto accade in Russia, Iran e Cina e sui pericoli che potrebbero incombere sulle nostre libertà.

Molti fattori concorrono ad offuscare la rinnovata distinzione tra mondo libero e totalitarismo che è alla base della nascita delle democrazie asiatiche e africane non meno di quelle “occidentali”. Per inciso – a proposito del termine e del concetto di totalitarismo – aveva ragione Gianfranco Pasquino quando nella Enciclopedia Treccani ha scritto che si tratta di una categoria della scienza politica da non abbandonare.

Si può discutere sul come reagire ad una situazione così pericolosa e ragionare su quali siano le migliori azioni da intraprendere in termini di deterrenza per prevenire l’escalation. Tuttavia mi piacerebbe che su fatti incontrovertibili come quelli ho citato in questo articolo ci fosse una sostanziale convergenza a livello politico e accademico, a destra come a sinistra, nel mondo laico, in Vaticano e nelle altre comunità religiose.

Durante gli ultimi cinque anni non è stato così perché in troppi hanno fatto gli struzzi. Molti soggetti hanno interessi economici nei regimi autoritari quali, per esempio, le multinazionali cosiddette Big Con (dove Con sta per Consulting). Quante volte il linguaggio asettico dei loro report ha coperto realtà drammatiche, ma ignorate da tutti, dal World Global Forum di Davos al putiniano Valdai Club…

Dagli anni Novanta in poi si venuta affermando l’immagine di un mondo edulcorato nel linguaggio e nella sostanza in cui sulla base del politicamente corretto un dittatore dalle ambizioni imperiali come Vladimir Putin si è trasformato in “autocrate”, termine di cui pochi comprendono il significato.

Il 24 febbraio del 2022 (se non prima) questo mondo è tramontato ed venuto il momento di chiamare le cose con il loro nome.

Il problema è che in Ungheria, in Germania, in altri paesi europei (e anche in Italia) la Russia, l’Iran e la Cina possono contare su molte teste di ponte: editori compiacenti, aziende di import-export, manager buoni per tutte le stagioni, politici ignoranti o peggio… Questa è la vera partita che si giocherà alle elezioni europee e che la gran macchina della disinformazione cerca di offuscare.

La storia, e la Shoah in particolare, hanno insegnato che non si può essere agnelli con i lupi. La prima cosa da fare è riconoscere i fatti, non come accadde con la Croce Rossa Internazionale che non disse una parola sui campi di sterminio.

Chi nega le responsabilità di Putin, Khamenei e Xi Jinping nell’attuale situazione internazionale, o peggio – come propongono Giuseppe Conte o Matteo Salvini – vuole sospendere gli aiuti alla resistenza del popolo ucraino, è oggettivamente complice dell’aggressione russa. Ancora una volta, come dopo la Seconda guerra mondiale, la via maestra è la deterrenza e il contenimento, nella speranza di avviare un negoziato su basi paritarie.

Ma per i credenti c’è un’ulteriore possibilità da non sottovalutare: la forza della preghiera. Trenta anni fa il cardinale Renato Martino, all’epoca Nunzio apostolico all’ONU, mi consentì di assistere alla preghiera corale delle clarisse del monastero di clausura di Boves. In quel momento in tutti i monasteri del mondo si pregava per il buon esito della Conferenza di Pechino. Fu un’esperienza indimenticabile.

Nell’ultimo giorno della farsa delle elezioni presidenziali in Russia, chiedo a me stesso ed ai lettori di Startmag se avrebbe alcun senso pensare a qualcosa di simile in favore del martoriato popolo ucraino. Cosa pensate dell’idea che in tutti i conventi e monasteri del mondo si preghi per la conversione di Putin sulla Via di Damasco?

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