A marzo si è verificato un calo delle esportazioni cinesi in Russia: un dato significativo, visto che si tratta della prima diminuzione su base annua dalla metà del 2022, cioè da poco dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina che ha compromesso i rapporti – sia politici che commerciali – di Mosca con l’Occidente. Dietro alla contrazione delle esportazioni pare esserci la volontà della Cina di non entrare in conflitto con le sanzioni secondarie imposte dagli Stati Uniti lo scorso dicembre, che colpiscono le banche di paesi terzi che gestiscono le transazioni con i soggetti russi sanzionati.
PUTIN ANDRÀ IN CINA
Il mese prossimo il presidente russo Vladimir Putin sarà in visita in Cina e – secondo le fonti di Bloomberg – potrebbe sollevare la questione dei flussi commerciali con l’omologo Xi Jinping. Stando all’agenzia, Mosca comunque considera il rallentamento delle esportazioni cinesi una cosa temporanea.
L’IMPATTO DELLE SANZIONI SECONDARIE SUL COMMERCIO RUSSO
A marzo le esportazioni della Cina in Russia sono diminuite di quasi il 16 per cento rispetto allo stesso mese del 2023. L’anno scorso il commercio bilaterale aveva raggiunto la cifra record di 240 miliardi, grazie – da un lato – alle importazioni cinesi di petrolio russo e – dall’altro – agli acquisti russi di automobili, macchinari industriali e componenti elettronici cinesi.
Adesso, però, Mosca è in difficoltà con i pagamenti – richiedono più tempo e più intermediazioni – per via delle sanzioni secondarie americane, che hanno una portata molto ampia. Anche gli scambi con la Turchia, un altro paese finora fondamentale per il sostentamento economico della Russia, stanno infatti risentendo delle nuove restrizioni. A livello complessivo, a marzo le importali russe sono diminuite del 18 per cento su base annua.
GLI STATI UNITI METTONO PRESSIONE ALLA CINA
Nonostante l’amicizia “senza limiti” che lega Russia e Cina, e che ha permesso alla prima di appoggiarsi alla seconda per mitigare l’impatto delle sanzioni internazionali imposte dopo l’invasione dell’Ucraina, i dati di marzo potrebbero rappresentare – ma è troppo presto per avere certezze – l’inizio di un cambiamento nei rapporti commerciali sino-russi.
Nella recente telefonata con Xi, il presidente americano Joe Biden ha sollevato la questione del sostegno cinese alla “base industriale della difesa russa”. La settimana scorsa, la segretaria del Tesoro Janet Yellen è stata in Cina e ha parlato di “conseguenze significative” per le banche e gli esportatori cinesi che si “espongono al rischio delle sanzioni statunitensi”.
LE SANZIONI CONDIZIONANO LE BANCHE CINESI
Le sanzioni secondarie si applicano alle banche che facilitano (anche in maniera non intenzionale) le transazioni con soggetti russi relative a una serie di prodotti potenzialmente applicabili in campo militare, dai semiconduttori ai cuscinetti a sfera. Per non incorrere in penalità, a gennaio le banche statali cinesi hanno inasprito le restrizioni sui finanziamenti ai clienti russi. A marzo, sempre le banche cinesi hanno iniziato a bloccare i pagamenti provenienti da aziende russe che acquistavano componenti elettronici.
PROBLEMI ANCHE NEL PETROLIO
Le sanzioni secondarie stanno complicando anche le esportazioni di petrolio russo. L’agenzia Reuters, infatti, ha scoperto che le società petrolifere in Russia devono attendere anche diversi mesi prima di ricevere i pagamenti per le forniture di greggio alla Cina, alla Turchia e agli Emirati Arabi Uniti: i tempi si sono allungati perché i controlli sulle transazioni sono aumentati.
Commerciare petrolio russo non costituisce una violazione delle sanzioni occidentali alla Russia, purché quel petrolio non sia venduto a un prezzo più alto del price cap di 60 dollari al barile. Nel 2023 la Russia ha superato l’Arabia Saudita come principale fornitrice di greggio della Cina.
La questione del rallentamento dei pagamenti è stata sollevata anche dal portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, che ha parlato di “pressione senza precedenti degli Stati Uniti e dell’Unione europea sulla Repubblica popolare cinese” che sta creando “alcuni problemi, ma non può diventare un ostacolo all’ulteriore sviluppo delle nostre relazioni commerciali ed economiche” con Pechino.