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Borsino Quirinale

La Nota di Paola Sacchi.

 

“È il parlamento a decidere della vita e dell’efficacia di questo governo”, così risponde con una punta di irritazione Mario Draghi a una domanda di Repubblica nella conferenza stampa di ieri pomeriggio a Palazzo Chigi. Vale a dire: se io salgo al Colle, il governo cade e ne andrebbe di mezzo anche il giudizio sull'”efficacia” del mio esecutivo?

Se è questa l’interpretazione giusta delle parole un po’ piccate del premier, taglia le gambe a tutte le ipotesi di eventuali scenari, vagheggiati dai giornali, su un eventuale prolungamento a Palazzo Chigi tra il 2022 e 2023,  mentre l’ex presidente della Bce salirebbe al Colle, di un “Draghi bis” sotto mentite spoglie magari attraverso la guida dell’attuale ministro dell’Economia Daniele Franco. Uno scenario forte del fatto che tanto i parlamentari non vorrebbero per varie ragioni, a cominciare da quelle della riduzione del loro numero deciso dal referendum e il raggiungimento della pensione, andare anticipatamente a casa.

E soprattutto, se fosse giusta questa interpretazione della reazione così netta di Draghi, che tradotta suona come un irritato dopo di me solo le urne, spazzerebbe via l’ipotesi lanciata da Giancarlo Giorgetti con l’intervista di lunedì scorso a La Stampa che diceva appunto: Draghi al Colle e voto anticipato. Tanto più che ieri il premier della permanenza del suo governo di emergenza fino al ’23 è parso quasi fare un punto d’onore, dal momento che ha tirato in ballo lo stesso giudizio del parlamento sull'”efficacia” del suo governo.

Il premier è comunque molto indecifrabile su quello che intende fare e la sua risposta di ieri potrebbe voler significare tutto e il suo contrario. Ma che il Pd lo vorrebbe con tutte le sue forze fino alla fine della legislatura a Palazzo Chigi è cosa che Enrico Letta ha detto in tutte le salse. E che al Pd non dispiacerebbe un Mattarella bis, nonostante il Capo dello Stato sia stato netto sul suo no a un altro mandato, è pure cosa risaputa , così come lo è il fatto che il Pd, granitico a differenza del centrodestra, non ha mai rinunciato all’ idea di far eleggere uno dei suoi, uno dei nuovi nomi che si fa nelle cronache è quello di Paolo Gentiloni.

Faceva notare un parlamentare leghista di lungo corso, giorni fa: “Ma voi ce la vedete la sinistra subire una personalità come Draghi, autonoma, per sette anni al Colle, tanto più se il centrodestra dovesse vincere le elezioni? Quelli sono abituati da sempre a gestire il potere e vorrebbero in quel caso un contrappeso rispetto a Palazzo Chigi, con qualche uomo di loro area. Mentre invece Draghi potrebbe essere il garante in Europa del centrodestra a Palazzo Chigi”.

Sono cambiate poi però tante cose, nel volgere di pochi giorni, l’uscita di Giorgetti, la vicenda di Luca Morisi, messa nel tritacarne del  processo mediatico giudiziario, in atto dal ’92, il no di Giorgia Meloni a un Mattarella bis, così come pare uno scarso entusiasmo per Draghi al Colle, nella convinzione che non si andrebbe comunque a quelle elezioni anticipate che Fratelli d’Italia vorrebbe così come Matteo Salvini. E soprattutto Salvini – bersaglio, a pochi giorni dalle Amministrative, di un violento attacco politico e mediatico concentrico, attraverso il trentennale uso politico della giustizia, sulla vicenda del suo ex social manager Luca Morisi, mostrificato ma solo indagato per un caso definito dalla stessa Procura di Verona non rilevante – seppur l’ipotesi non la abbia mai esclusa, ora si limita a dire: “Non tiro per la giacca Draghi”. Parole interpretate come una un po’ irritata risposta all’uscita di Giorgetti, di cui La Stampa aveva anche riportato un “Draghi per tutta la vita”. “Si è già autosmentito e la prossima volta si spiegherà meglio”, ha detto perentorio il leader leghista, in questo caso riferendosi in particolare a quello che era suonato come endorsement per Calenda a Roma.

Alla fine della fiera, lo scenario che sembra a questo punto prevalere nel “borsino” quotidiano del Colle, nei desiderata della sinistra, è quello di un Mattarella bis, nonostante il netto no del Presidente, tenendo conto che comunque la sinistra non esclude una personalità come sempre proveniente dalla sua stessa area? O forse soprattutto più che per il Colle, sempre per quanto riguarda i desiderata della sinistra, rischia di prendere piede il disegno di un Draghi bis a Palazzo Chigi, evocato anche  dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, magari attraverso una maggioranza Ursula all’italiana, ovvero Pd, Cinque Stelle, pezzi di Forza Italia e magari anche di Lega, favorita da un rifacimento per le Politiche della legge elettorale in senso proporzionale? Una riedizione del tutti contro Salvini, orchestrato dalla sinistra e favorito da qualche eventuale sbandamento, o gare interne, del centrodestra? Quello stesso centrodestra che pur essendo tuttora maggioranza nel Paese consegnerebbe di nuovo il boccino del comando alla sinistra?

Eppure il centrodestra, fondato da Silvio Berlusconi, figura imprescindibile, un leader lo ha:  Salvini, in quanto a capo della forza attestatasi per prima in tutte le elezioni successive al 2018 e comunque già nelle in quelle politiche arrivata prima all’interno della stessa coalizione. Se poi è venuto meno il solenne impegno che leader sarebbe diventato chi avrebbe preso più voti, è altra cosa. Eppure Salvini in questi anni ha fatto notevoli sforzi per attestarsi sempre più su una linea liberale e anche garantista con i referendum sulla giustizia. E certamente, al contrario di quanto viene scritto dal mainstream, non potrà essere una pur importante tornata di Amministrative a decidere della sua leadership.

Il centrodestra ha problemi di classe dirigente nelle grandi città, che però è sempre più attenzionata rispetto a quella di sinistra scelta in potenti apparati che la mettano al riparo da inciampi giudiziari, come ha ricordato Pietrangelo Buttafuoco. E occorre anche ricordare che tutte le grandi di città dove si va a votare domenica e lunedì prossimi sono amministrate dalla sinistra, per cui anche prendere una significativa città come Torino sarebbe già, in un quadro così, un  importante segnale. E comunque quella Lega, vagheggiata dalla sinistra e dal mainstream, che tornerebbe ad essere confinata al Nord, “solo in pezzi di territorio”, come ha rimarcato Salvini, sarebbe utile agli stessi alleati? Certamente sarebbe utile a gare e riposizionamenti tutti però interni al centrodestra. Alla sinistra, invece, forse sarebbe utile per vincere sempre e comunque.

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