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Trasparenza

Qatargate, cosa fare per migliorare la trasparenza delle istituzioni Ue

Non solo nelle istituzioni Ue, ma anche in quelle italiane rimangono delle opacità: manca una disciplina delle lobby e non ci sono regole sui rapporti dei parlamentari con gli stati esteri. L'articolo di Vitalba Azzollini per Domani.

Il tema delle interferenze esterne, anche di paesi stranieri, sui processi decisionali dell’Unione europea (Ue), emerso a seguito dello scandalo delle presunte tangenti pagate dal Qatar a esponenti del parlamento Ue, era già nota all’Unione stessa. Da tempo la trasparenza è il filo conduttore dell’azione europea, ma evidentemente c’è ancora molto da fare. E non solo nell’Ue, ma anche nell’ordinamento nazionale.

LA TRASPARENZA SULLE INGERENZE STRANIERE

Come ha scritto Pier Luigi Petrillo, esistono regole di trasparenza che disciplinano puntualmente i rapporti tra i gruppi di pressione e le istituzioni europee. Ma tali regole non riguardano paesi esteri, oltre che partiti politici e sindacati, i cui rapporti con le istituzioni restano avvolti da opacità. Inoltre, agli ex parlamentari non si applicano norme che vietano le porte girevoli, cioè l’assunzione di incarichi in conflitto di interesse quando essi concludono il proprio mandato.

Si tratta di lacune note all’Unione, come risulta dalla relazione del febbraio 2022 della Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell’Unione europea (Inge), istituita dal parlamento europeo nel giugno 2020. Nel rapporto si evidenziava, tra le altre cose, la «diffusa mancanza di consapevolezza, anche tra il pubblico in generale e i funzionari governativi, riguardo alla gravità delle minacce attualmente poste da regimi autoritari». La Commissione speciale esprimeva preoccupazione «per la mancanza di norme e di misure adeguate» a prevenire e contrastare «atti di ingerenza straniera».

Inoltre, l’organismo stigmatizzava la «cooptazione di funzionari pubblici di alto livello e di ex politici europei utilizzata dalle imprese straniere collegate ai governi impegnati attivamente in azioni di ingerenza contro l’Ue». Proprio ciò che pare stia emergendo in questi giorni, relativamente a Qatar e Marocco.

La Commissione invitava a definire «periodi di incompatibilità (“cooling-off”) per i commissari e altri funzionari di alto livello dell’Ue, con un obbligo di resoconto una volta trascorso detto periodo, per porre fine alla pratica delle porte girevoli (“revolving door”)».

E aggiungeva che «gli ex politici e funzionari europei dovrebbero segnalare a un organismo di vigilanza dedicato se sono avvicinati da uno stato estero, e ricevere la protezione riservata agli informatori». La Commissione speciale invitava, altresì, tutti gli stati membri a garantire misure e sistemi che «obblighino i funzionari pubblici a dichiarare le loro attività esterne, le attività professionali, gli investimenti, i beni, nonché i doni o i vantaggi sostanziali che potrebbero dar luogo a un conflitto di interessi».

Nel marzo 2022, la plenaria con una risoluzione ha adottato le conclusioni della Commissione speciale. Sempre nel marzo 2022, il parlamento europeo ha creato una nuova Commissione speciale (Ing2) incaricata di dare seguito a tali conclusioni. Dati i fatti emersi in questi giorni, si attende che esse si trasformino azioni concrete.

LA TRASPARENZA NELL’UE

Lacune in termini di trasparenza nei processi decisionali dell’Ue si riscontrano poi nei triloghi, cioè i negoziati informali fra i due co-legislatori, parlamento e Consiglio, tesi a velocizzare il raggiungimento di un accordo ai fini della successiva adozione formale di atti legislativi.

I triloghi, non contemplati dai trattati dell’Ue, sono diventati comuni nella pratica poiché la soluzione “ufficiale” prevista in caso di divergenza tra le due istituzioni – la “conciliazione”, cui può ricorrersi solo nella fase conclusiva dei lavori – si è dimostrata complessa e poco efficiente. I triloghi – possibili in ogni fase – hanno reso più spedita la co-decisione. Ma le trattative svolte nell’ambito dei triloghi avvengono a porte chiuse.

Quanto accade durante le riunioni è contenuto in un documento a quattro colonne. Le prime due, che esprimono la proposta della Commissione e la posizione del parlamento, sono pubbliche; le altre due, che indicano la posizione del Consiglio e la proposta di compromesso, sono invece normalmente secretate.

Nel 2018, l’Ombudsman europeo, in una relazione al parlamento, ha affermato che «per consentire ai cittadini europei di (…) partecipare al processo decisionale dell’Ue e di chiedere conto a coloro che ne sono coinvolti, le deliberazioni legislative devono essere sufficientemente trasparenti». Secondo il difensore civico, il Consiglio dovrebbe aggiornare le sue regole procedurali sull’accesso del pubblico ai documenti interni, che andrebbe limitato solo in casi eccezionali e debitamente giustificati.

Nel marzo 2018, il tribunale dell’Ue, con una sentenza che può essere definita storica, ha consentito l’accesso integrale alle tabelle a quattro colonne, accesso che era stato in parte negato dal parlamento Ue al cittadino che ne aveva fatto richiesta. Secondo i giudici, pubblicità e trasparenza sono principi democratici che devono improntare le procedure legislative europee.

LA TRASPARENZA IN ITALIA

In Italia, nonostante il principio della pubblicità delle sedute delle Camere (art. 64 Cost.), restano margini di opacità.

In primo luogo, sul funzionamento delle commissioni parlamentari permanenti, «cuore del processo legislativo», come li definisce l’associazione Openpolis. Solo per le sedute in sede deliberante o redigente vi è l’obbligo, non sempre rispettato, del resoconto stenografico, e può essere richiesta la pubblicità dei lavori (art. 65 regolamento Camera; art. 33 regolamento Senato). Invece, se le commissioni si riuniscono in sede referente o consultiva vengono stilati solo resoconti sommari. La scarsa trasparenza è evidente anche nelle votazioni. «Il voto elettronico non è la regola, ed è quindi impossibile ricostruire come i membri delle commissioni votino sui singoli emendamenti, articoli, provvedimenti, ecc.».

In secondo luogo, in Italia non esiste una disciplina delle lobby e, pertanto, vi è opacità sulle “pressioni” che influenzano il processo legislativo. Regolamentare le lobby significherebbe, da un lato, portare dinanzi al decisore pubblico istanze dei soggetti rappresentati, nel rispetto delle dinamiche democratiche, fornendogli elementi di valutazione utili nel processo deliberativo; dall’altro lato, consentirebbe ai cittadini di vagliare l’operato dei titolari di cariche istituzionali anche in funzione delle influenze alle quali sono, anche solo potenzialmente, sottoposti.

Lasciare tale attività sprovvista di disciplina significa dare adito a motivi di confusione con l’attività di faccendieri e corruttori, soggetti rispetto ai quali i lobbisti sono agli antipodi.

Infine, sarebbe bene che il parlamento disciplinasse la situazione dei propri membri che intrattengono rapporti con stati esteri, dai quali possono ricevere compensi per attività legittimamente svolte. Andrebbe sancito un divieto assoluto, per evitare qualunque ipotesi di interferenze. Fare trasparenza in aree grigie sarebbe doveroso sempre, e non solo per quanto accaduto ultimamente.

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