skip to Main Content

Niger

Putin sopravviverà?

In Occidente se il politico sbaglia può essere cacciato dal voto popolare. In Russia può, invece, cercare di sopravvivere a se stesso, ma con quali conseguenze per il proprio Paese è tutto da verificare. L'analisi di Gianfranco Polillo

Da un lato, l’immane tragedia: le migliaia di morti che insanguinano la terra in Ucraina. Le deportazioni di massa con il ritorno coatto della gente nelle braccia di Santa madre Russia. La distruzione sistematica di villaggi e città. Gli stupri, le torture o le semplici uccisioni dei civili. La minaccia incombente di un olocausto nucleare. I giovani coscritti russi utilizzati come carne da macello. I criminali, liberati dalle prigioni, per essere arruolati nelle fila della Wagner. Si potrebbe continuare all’infinito. Una guerra condotta con lo spirito e le strategie del ‘900 al tempo di internet e dell’intelligenza artificiale.

Dall’altro la farsa, che si trasforma in una macabra pochade (intrighi e colpi ad effetto) ma senza la leggerezza di un Vincent Le Zoir o di uno Steven Rominz. Con improbabili protagonisti che non rispondono solo ai nomi di Evgenij Prigozhin, nella parte del Capo della Wagner, di Sergej Šojgu, nei panni di Ministro della Difesa, o di Valery Gerasimov, a sua volta, ineffabile capo di stato maggiore dell’esercito. Ma investono soprattutto la figura del leader maximo, Vladimir Putin, costretto a falsificare la storia stessa del suo Paese, nel tentativo di dare ulteriore alimento al suo malato nazionalismo.

Nel 1917 non c’erano sabotatori, cioè i bolscevichi, pronti a rubare la vittoria ad un esercito vittorioso. Le truppe dello Zar erano allo sbando. Lenin fu solo il più lucido nel valutare la situazione. Lanciò la parola d’ordine “guerra alla guerra”. E fu rivoluzione, cui seguì la pace separata di Brest-Litovsk, che comportò, rispetto al vecchio impero russo, la perdita dell’Ucraina, della Finlandia, dell’Estonia, della Lettonia, della Lituania, della Bielorussia e della Polonia. Non a caso terre, ancora oggi, rivendicate dallo stesso Putin.

In questa triste e dolorosa tragedia, che si trasforma in farsa, non siamo ancora ai titoli di coda. Molto, se non tutto, deve ancora accadere. E non mancheranno nuove sorprese destinate a stupire lo spettatore. Al momento siamo ad una marcia verso Mosca guidata da quello che era il “cuoco di Putin, con l’obiettivo di scacciare i mercanti dal tempio (Šojgu e Gerasimov), che si interrompe a metà strada, dopo aver abbattuto tre o quattro elicotteri dell’esercito russo ed ucciso un numero imprecisato di soldati. Nel frattempo l’intervento dello stesso Capo del Cremlino al grido di “morte ai traditori”, non disdegnando tuttavia di trescare, in contemporanea, con Lukashenko, presidente della Bielorussia, per trovare una possibile, anche se poco dignitosa, via d’uscita.

Sarà quest’ultimo a tirar fuori il coniglio dal cilindro, facendo fare a Putin la figura del pirla. Putin, che, da tempo era a conoscenza delle intenzioni di Prigozhin. Del quale si può dire tutto il male possibile, ma almeno un merito gli va riconciato. Quello di aver denunciato, per tempo, l’incapacità della Russia di concludere rapidamente “l’operazione militare speciale”. Del resto da quel 24 febbraio, data dell’invasione, sono passati ben 16 mesi. Altro che Blitzkrieg! Quella di Putin, considerate le forze in campo, è una delle più lunghe e logoranti guerre di posizionamento.

Se il Cremlino non voleva credere a Prigozhin, c’era tuttavia la situazione bellica, con i suoi relativi insuccessi, a dimostrare che così non andava. La scusa della presenza occidentale era, appunto, una scusa, visto che i rifornimenti di armi, almeno all’inizio, tardavano ad arrivare. Se Vladimir Putin, nel lontano 1917 (l’anno della pace separata della Russia di Lenin), fosse stato al posto di Vittorio Emanuele Orlando, il generale Luigi Cadorna, responsabile della disfatta di Caporetto, sarebbe ancora rimasto al suo posto.

Ed in effetti l’avanzata della Wagner che giunge senza incontrare resistenza fino quasi le porte di Mosca, dimostra che la sindrome dell’8 settembre non è solo un caso italiano. Le incertezze sul da farsi, da parte della plancia di comando del Cremlino, disarma l’esercito russo. Impedisce ai corpi speciali – in particolare alle Spetsnaz ancora non decimate dalla guerra – di intervenire. Non è un “tutti a casa”, ma un tappeto rosso steso per la marcia trionfale della Wagner, nonostante le dichiarazioni bellicose del grande Capo. Dovrà essere Ramzán Kadýrov, la guida dei ceceni, a farsi carico dei problemi, proponendosi come pretoriano in difesa di Mosca. Per fortuna, senza successo. Con ogni probabilità la Wagner avrebbe polverizzati le forze nemiche, poco adatte a competere nella guerriglia urbana.

Ed ecco allora la domanda, con cui è necessario confrontarsi. È questa la “verticale del potere” tanta sognata da Vladimir Putin? Il bandierone sventolato per dimostrare la superiorità storica delle autocrazie rispetto al decadente mondo dell’Occidente? Alla prova dei fatti sembrerebbe che alcune vecchie regole, volutamente ignorate da Dugin ed i suoi accoliti, abbiano avuto il sopravvento. Volevano sfiancare l’Occidente. Erano convinti che, con il passare del tempo, la democrazia non avrebbe retto. Tra Zelensky ed i suoi supporter si sarebbe insinuato un cuneo. Perché i singoli Paesi, che fanno parte della Nato, non hanno voglia alcuna di rinunciare al proprio egoistico benessere. Non sanno soffrire, come, invece, accade alla Russia.

Ed invece si sbagliavano. A sfaldarsi è stata proprio quella “verticale”, che non ha retto all’urto delle opposte valutazioni sull’andamento della guerra, impedendo al Cremlino di decidere. Ed è stata la mancanza di questa decisione a far crollare la figura stessa del Capo supremo. Non più il Superman costruito dalla sapienza della propaganda russa. Il macho che comanda, decide e punisce i trasgressori, fidandosi solo del suo infallibile fiuto. Ma un “semplice” politico, come ce ne sono tanti in Occidente. Ma con una profonda differenza. Qui se il politico sbaglia può essere cacciato dal voto popolare. In Russia può, invece, cercare di sopravvivere a se stesso, ma con quali conseguenze per il proprio Paese è tutto da verificare.

Back To Top