Il Dicastero per la Dottrina della Fede ha citato in giudizio monsignor Carlo Maria Viganò per “il delitto di scisma” di cui è accusato in relazione ad alcune “affermazioni pubbliche dalle quali risulta una negazione degli elementi necessari per mantenere la comunione con la Chiesa cattolica: negazione della legittimità di Papa Francesco, rottura della comunione con Lui e rifiuto del Concilio Vaticano II”. Si tratta di un processo clamoroso, di cui ha dato notizia sui social lo stesso ex nunzio apostolico negli Usa.
Il clamore aumenterà notevolmente se fosse confermato l’arrivo, previsto da alcune fonti bene informate sulle cose d’Oltretevere, di un pronunciamento pontificio, in senso definitivamente restrittivo, verso i cattolici che celebrano e seguono la Messa secondo il rito tradizionale. Si tratterebbe, nel caso, di una mossa perfettamente conseguenziale con il processo a Viganò, con la posizione ostile di Bergoglio verso i cosiddetti tradizionalisti e con il suo piglio deciso, per usare un eufemismo, contro quanti gli si mettono di traverso o, semplicemente, non gli sono canonicamente graditi.
Come risulta sempre più chiaro, infatti, il Papa ha un carattere rigido e aggressivo, talvolta collerico: le battute sulla “frociaggine” e contro i fedeli cinofili, la frase sul cazzotto a chi bestemmia la Madonna, lo schiaffo sulla mano alla fedele che lo pressava, le misure spicce adottate contro personaggi come padre Georg testimoniano come Francesco non si sia affrancato dai modi rudi che ha probabilmente dovuto usare quando lavorava nel difficile contesto di Buenos Aires. In tempi nei quali è emersa anche la sua pragmatica ma certo non esemplare tendenza a preferire il compromesso con il potere, rispetto al martirio.
Della fobia antitradizionalista del Papa, però, ciò che colpisce è soprattutto l’insensatezza pastorale. I cattolici che preferiscono il latino e la celebrazione col sacerdote rivolto al tabernacolo, in genere, non sono simpatizzanti dell’attuale pontefice. Ma solo una parte di loro ritiene occupi abusivamente il soglio di San Pietro in quanto eretico o, meglio, non davvero credente e fedele alla Chiesa cattolica. Proprio per tale ragione, spingere fuori dal colonnato petrino la frangia più estremista assieme agli altri amanti del rito di San Pio V significa crearsi un problema inutile. Tornare alla dolorosa spaccatura dei tempi lefebvriani.
Si potrebbe obiettare che si tratta di gruppi sparuti e divisi tra loro, di poche centinaia di persone divise in microcomunità, ma la cosa è vera parzialmente e soprattutto, in proporzione, si tratta di un mondo vitale, talvolta in crescita di adesione, al contrario di quello cattolico conciliare. Francesco farebbe bene a occuparsi di questo, più che delle minoranze tradizionali. Di un cattolicesimo in forte crisi di adesione anche teorica ma soprattutto pratica, dove la frequenza di chiese, messe, sacramenti e riti è crollata, così come il rispetto della morale che dovrebbe informare la vita dei fedeli. In particolare, è crollata la partecipazione delle donne che erano deputate a tramandare la fede a figli e nipoti, dunque anche quella dei giovani, salvo sporadiche eccezioni che però si limitano alla partecipazione sociale e filantropica.
Da troppi anni ormai la Chiesa è un’agenzia sociale e politica, tendente a sinistra e al conformismo woke, come confermano costantemente il quotidiano della Cei, Avvenire, e il presidente Matteo Zuppi. Il Concilio Vaticano II è stato un catastrofico, evidente fallimento. Ha disperso in pochissimo tempo un patrimonio plurisecolare e reso la Chiesa un soggetto “del” e non “nel” mondo. Il suo problema non sono i presunti eretici ma i sedicenti cattolici. Chi segue la messa in latino cerca solo il sacro, che in Vaticano e nelle diocesi è ormai scomparso.