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Sicurezza

Ponte Morandi? Mottarone? Non c’è sviluppo senza sicurezza

L'intervento di Francesco D'Arrigo, direttore Istituto Italiano Studi Strategici

 

Il primo oggetto dell’azione politica, da sempre, fin dalla costituzione delle comunità, delle società, degli Stati, delle istituzioni democratiche, è quello relativo alla produzione e alla gestione della sicurezza dei suoi cittadini.

Lo sviluppo di uno Stato può verificarsi soltanto se la politica della sicurezza è in grado di ridurre i rischi ed evitare che si trasformino in pericoli. Se ci sono pericoli, nessuno è interessato ad investire in nuove ipotesi di sviluppo.

Chiunque abbia vissuto, davanti alla Tv, la giornata dell’11 settembre 2001, porta incise nella memoria delle immagini che sin da quel momento sono entrate a far parte della storia dell’umanità. Ripetute all’infinito sugli schermi di tutto il mondo, non vi è persona oggi che non saprebbe riconoscere le sagome dei due giganti di cemento e acciaio — le Torri Gemelle di New York — che si accartocciano su sé stesse e si disintegrano, una dopo l’altra, scomparendo in una nube di polvere che avvolge tutta l’isola di Manhattan.

Ora, immaginiamo per un attimo quale sarebbe stato il clima e la risposta dell’Italia se il crollo del ponte Morandi a Genova o l’incidente della funivia di Stresa-Mottarone fossero stati provocati da attentati terroristico.

Faccio questa ipotesi perché oggi sono gli stessi cittadini a richiedere, al di là delle campagne di comunicazione, livelli più elevati di sicurezza e protezione da rischi e minacce, perché la sicurezza è fragile ed eterodiretta: la comunicazione generalizza un singolo caso statisticamente irrilevante (un incidente aeronautico, un attentato sventato, gli effetti indesiderati di un vaccino, ecc.) e lo proietta nell’immaginario collettivo dei singoli cittadini, sia per orientarne i comportamenti, sia perché è il modo che la comunicazione ha per rigenerare se stessa (autoreferenzialità).

Quando il pericolo è alto ma l’allarme è basso, le persone hanno una reazione debole, mentre quando il pericolo è basso ma l’allarme è alto, esse hanno una reazione eccessiva. Non è il pericolo che crea la reazione, ma il grado di allarme che determina la percezione del rischio. In realtà i rischi che controlliamo — o pensiamo di controllare — costituiscono una fonte di allarme molto minore dei rischi che stanno fuori del nostro controllo, come pure quelli che consideriamo imminenti rispetto ad altri che ci sembrano lontani. La morte per un attacco terroristico o per un incidente ferroviario è matematicamente molto meno probabile di quella per infarto o per incidente d’auto, ma la morte in un attentato terroristico o in un ponte che crolla ci appare “terribile” e fuori dal nostro controllo, mentre l’infarto ci appare soltanto come un evento possibile, comunque lontano e controllabile.

Negli incidenti di Genova e Stresa-Mottarone, non trattandosi di atto palesemente terroristico, nella comunicazione è immediatamente subentrato l’“errore umano”, definizione oramai entrata a far parte del linguaggio mediatico evocando immagini di gravi incidenti accaduti per fatalità anche quando palesemente provocati dall’imperizia e/o da comportamenti criminali. Ogniqualvolta un incidente non sia riconducibile ad un atto di tipo terroristico la responsabilità viene automaticamente attribuita all’“errore umano”, il quale diventa l’unica causa dell’evento nefasto, capace di indurre l’opinione pubblica a scaricare le responsabilità del disastro su una singola persona (o poche persone) invece che sull’intero sistema.

Si legge nel Dizionario di Psicologia di Galimberti: “Per Errore s’intende un’azione che comporta un giudizio o valutazione che contravviene il criterio riconosciuto valido nel campo a cui il giudizio si riferisce, oppure ai limiti di applicabilità del criterio stesso”.

Con il termine minaccia, invece, si intende un concetto più ampio che necessita di un attento esame ed una calibrata interpretazione. Secondo il Grande Dizionario della Lingua Italiana per minaccia si intende la “presentazione (fatta espressamente, con parole o gesti, o tacitamente, mediante comportamento) di un male futuro e ingiusto, la cui attuazione dipenda dalla volontà di colui stesso che prospetta il male; può essere fine a se stessa (cioè mirare solo a provocare una sofferenza nella persona minacciata mediante il turbamento, la preoccupazione, il timore che si provoca in essa), oppure e più spesso può servire a coartarne la volontà e farle così tenere un comportamento che essa altrimenti non terrebbe”.

Oggigiorno le sorgenti di minacce sociali sono molteplici e la specificità del tema in questione, e cioè gli incidenti catastrofici nel comparto trasporti, induce ad esaminare, tra le tante, quelle minacce che attengono alla così detta security settoriale, ovverosia specificatamente applicata a determinati contesti-complessi produttivi d’importanza strategica per lo sviluppo economico e sociale del Paese.

A tal fine risulta utile evidenziare la differenza non solamente lessicale, bensì sostanziale, tra le minacce originate all’esterno dei confini nazionali – esogene (terrorismo, hackeraggio, guerra ibrida, aggressione militare), e quelle che provengono da cause interne al territorio nazionale – endogene (cause politico-ideologiche, fattori economici e finanziari, criminalità organizzata e/o diffusa).

Tale approccio ci consente di focalizzare nel migliore dei modi la differenza che intercorre effettivamente tra una minaccia terroristica ed una minaccia criminale (eversiva), considerato che oramai i media utilizzano sempre più spesso le espressioni terroristico e terrorista per riferire di attentati, attacchi, azioni portate a termine da esecutori suicidi, strategie e tattiche pianificate da eserciti ribelli o ristretti gruppi di uomini che agiscono animati da credo religioso o ideologico. La differenza tra le due matrici è basilare per comprendere la tipologia della minaccia. Il termine terroristico (ovverosia il concetto di terrorismo) può essere ricondotto alle potenziali minacce originate prevalentemente all’esterno dei confini nazionali, mentre il termine eversivo può essere rapportato a minacce rappresentate da alcuni fenomeni, inclusi quelli economico-finanziari, che hanno radici interne cioè nel territorio nazionale.

Le indagini sugli incidenti diventano fondamentali per poterne stabilire la genesi e le responsabilità dal punto di vista giuridico e penale, mentre dal punto di vista della sicurezza e prevenzione è fondamentale comprendere i fattori che li determinano, attraverso una metodologia di analisi che metta in relazione i tre maggiori elementi coinvolti nella produzione della catena degli “errori” che causano un incidente: la natura del compito e le sue circostanze ambientali, i meccanismi che governano la prestazione e la natura degli individui (Reason, 1990).

In ogni incidente, le autorità sono concentrate sugli aspetti giudiziari che si sviluppano in processi che durano diversi anni ed il cui scopo è quello di punire gli eventuali colpevoli di reati, ma altrettanto fondamentale è comprendere al più presto quali sono i fattori di ordine politico-culturale che ci possono permettere di prevenirli, uscendo dalla logica del caso per caso, concentrandosi solo sul “fatto compiuto” e pensando esclusivamente all’azione legale piuttosto che alla prevenzione di futuri incidenti.

La comprensione e la minimizzazione del rischio in questi casi non passano più esclusivamente attraverso fattori di tipo geopolitico o giudiziario, ma attraverso modelli organizzativi e fattori di tipo tecnologico, economico, ambientale, sociale e culturale.

Per evitare i rischi dell’arbitrio, delle violazioni o del fattore umano che provocano incidenti, occorre rafforzare il principio dell’«Accountability»: della responsabilità di chi gestisce e di chi è preposto ad effettuare i controlli di sicurezza in tutte le organizzazioni, infrastrutture, asset pubblici, aziende, ecc.

La mancanza di sicurezza in una singola struttura che provoca fenomeni catastrofici come quelli di Genova e Stresa-Mottarone impatta in maniera devastante non solo il territorio dove si manifestano ma anche le industrie, i lavoratori, l’intenso rapporto che si instaura attraverso la presenza dell’impresa in un’area geografica, le alterazioni vissute da una comunità, indipendentemente da fattori oggettivi e dal livello di ricchezza che quella azienda assicura al territorio.

Il significato che un incidente disastroso assume nell’immaginazione collettiva internazionale, soprattutto se coinvolge cittadini di diverse nazionalità, si spinge fino ad identificarlo come simbolo di alienazione di valori e squilibri ambientali imputati all’intero Paese. Eventi di tale gravità, oltre alla perdita di vite umane, provocano danni inestimabili all’immagine dell’Italia ed alle eccellenze del Made in Italy, che nell’era dei social media ed in un contesto di guerra economica come l’attuale, si trasformano immediatamente in campagne mediatiche di boicottaggio contro le nostre industrie e prodotti di ogni genere (culturali, alimentari, prodotti siderurgici e/o tecnologici, architettonici, sportivi, abbigliamento ecc.), con ricadute negative sulla bilancia commerciale e sul benessere collettivo.

Il nostro Stato e le nostre istituzioni sono da molti anni impantanate in mezzo ad un guado poco entusiasmante bloccato dalla arretratezza della struttura burocratica; da un sistema fiscale oppressivo; da un sistema sanitario con enormi sprechi e che ha mostrato tutti i propri limiti durante la pandemia; da un sistema d’istruzione in perenne ridefinizione; da un sistema giudiziario inefficiente; da scarsi investimenti per la ricerca e da un evidente deficit di cultura della sicurezza.

Ma senza una cultura della sicurezza non c’è sviluppo, anzi, una crescita indiscriminata e non adeguatamente controllata può essere pericolosa e può minacciare la nostra qualità di vita.

Una forte accelerazione della crescita, come quella che auspichiamo anche grazie al Pnrr, senza una cultura della sicurezza nazionale può produrre deficit cognitivi ed etici che possono contribuire a diffondere paura e insicurezza tra i cittadini italiani, aumentare le infiltrazioni della criminalità, gli incidenti sul lavoro ed allontanare potenziali investitori e turisti stranieri. Crescita e sviluppo senza sicurezza possono essere addirittura in contrapposizione, come mostrano le incontrollate evoluzioni climatiche e la crisi idrogeologica ed ambientale che interessano il nostro territorio, con i suoi problemi irrisolti di habitat inquinati, carenza di infrastrutture ed ecosostenibilità, o meglio, con i suoi problemi di esplosione o di implosione dei servizi pubblici che non ce la fanno più a contenere l’eccessivo carico cui sono sottoposti.

Ogni sforzo dovrebbe essere indirizzato ad evitare incidenti, a proteggere le vite ed il benessere dei cittadini-utenti mentre lontana da questi obiettivi è la carenza di risorse economiche e professionali necessarie a promuovere la cultura della sicurezza all’interno e all’esterno delle istituzioni, degli enti pubblici, delle aziende e soprattutto delle scuole, perché la mancanza di sicurezza rappresenta una minaccia concreta alla democrazia.

 

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