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Giorgetti

Perché Repubblica strapazza Renzi e Calenda?

I Graffi di Damato

Chissà perché in una edizione particolare come quella destinata a durare due giorni per via della pausa ferragostana la Repubblica di carta ha voluto schierarsi così nettamente contro il polo di Carlo Calenda (e Matteo Renzi). Tanto da farne liquidare i leader come Bibì e Bibò in una vignetta di Francesco Tullio Altan. Una vignetta che -dovendosi escludere i grillini per ciò che Repubblica scrive abitualmente di loro, specie dopo la guerra condotta da Giuseppe Conte contro Mario Draghi, e il centrodestra dei tre leader da quelle parti uno più indigesto dell’altro, come Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, in ordine rigorosamente alfabetico- è di fatto una sponsorizzazione vera e propria del Pd di Enrico Letta e alleati, o soci. I quali sono a destra, diciamo così pur sapendo di non fare cosa gradita agli interessati, i radicali +europeisti di Emma Bonino e Benedetto Della Vedova, a sinistra i rossoverdi di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli e al centro cespugli o singole personalità come gli ex pentastellati del ministro degli Esteri Luigi Di Maio e l’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, nonché senatore uscente già ospite “indipendente” delle liste del Nazareno del 2018 nella sua Bologna.

Stavolta peraltro Enrico Letta ha personalmente riproposto Casini ai sofferenti organi locali del Pd, in una lettera al Corriere della Sera, come una specie di guardiano della Costituzione minacciata dall’”assalto” presidenzialista del centrodestra, almeno nella versione sfuggita in una gaffe a Silvio Berlusconi prefigurando le dimissioni di Sergio Mattarella prima della scadenza del suo secondo mandato. Sono seguite precisazioni persino indignate del Cavaliere, nonché prese di distanza della Meloni e dei leghisti, che non sono tuttavia bastate a cambiare la rappresentazione dello scenario berlusconiano fatta dagli avversari con prevedibile tempestività, o altrettanto prevedibile strumentalizzazione.

La bocciatura del polo di Calenda (e di Renzi ) da parte di Repubblica è solo questione di antipatia o critica personale di Maurizio Molinari, il direttore della corazzata del gruppo editoriale della famiglia Agnelli copertosi dietro la zona franca della satira, o è proprio una scelta alla quale prima o dopo, in questa pur breve campagna elettorale estiva, dovranno adeguarsi a Torino La Stampa e a Genova Il Secolo XIX? E che cosa ne avrebbe detto o, ancor più, pensato il recentemente scomparso Eugenio Scalfari? Il quale di Bibì o di Bibò- in chi dei due vogliate identificare Renzi- aveva apprezzato e difeso la riforma costituzionale del 2016, anche a costo di urtare il blasonato collaboratore di Repubblica Gustavo Zagrebelsky e di perdere l’agguerritissima Barbara Spinelli, convertitasi per reazione al Fatto Quotidiano.

Ma prima ancora di difenderne la riforma costituzionale, e di lasciare poi l’interessato cadere nella zona d’ombra della sconfitta referendaria e di quella elettorale successiva riconoscendone i limiti temperamentali, Scalfari aveva cercato di essere addirittura il paterno e grande consigliere di Renzi. Del quale aveva accettato e ricambiato telefonate di auguri e complimenti. E a cui aveva indicato i libri da leggere sui quali poi poterlo interrogare per accertarsi che li avesse letti davvero, anzi studiati per bene. Di Renzi infine, pur dopo la disapprovata scissione del Pd, Scalfari aveva sicuramente apprezzato il contributo dato all’arrivo a Palazzo Chigi di un amico specialissimo come Mario Draghi, non a caso fra i primi ad accorrere ad omaggiare in Campidoglio la salma del fondatore di Repubblica.

Bibì o Bobò che sia stato Renzi nella mente di Altan, non credo proprio che Scalfari avrebbe gradito o condiviso la bocciatura o l’ostracismo elettorale del “suo” giornale nel numero in qualche modo doppio di ieri. Si sarebbe forse spinto sino ad uno dei “post scriptum” dei suoi lunghi commenti domenicali per alleggerirgli la pur metaforica terra.

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