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Perché non sarà facile per Trump trovare una soluzione per Israele

L'analisi della professoressa Daniela Coli

 

Gli Usa sono adesso perdenti in Medio Oriente e gli arabi, come aveva previsto Edward Said, non sono così facilmente dominabili, né influenzabili. La religione è stata un potente stimolo per il mondo arabo, ma lo è anche per Israele, uno stato fondato sulla Bibbia e dove la religione gioca un ruolo essenziale anche dal punto di vista etnico. Da tenere presente la posizione geopolitica dell’Iran, che arriva a influenzare anche l’Asia, e infatti India e Cina sono sempre schierate con l’antico impero persiano. Né è da sottovalutare la Turchia, ex impero ottomano, con Erdogan alleato storico della Germania, ma anche in ottimi rapporti con UK e Francia. Né la posizione dell’Arabia saudita, che non intende normalizzare le proprie relazioni con Israele, non appoggerà il piano di pace di Trump senza concessioni significative ai palestinesi e non riconoscerà Gerusalemme, secondo il Times of Israel. I sauditi sono anche interessati a rapporti più intensi con la Cina e a partecipare alla Via della Seta. Secondo un editoriale redazionale del Financial Times, la posta in gioco nelle prossime elezioni israeliane non è il potere di Netanyahu, ma la vita dello stesso Stato ebraico.

Per il FT, se Israele continuerà la politica di apartheid di Netanyahu, è destinata alla catastrofe.  Il ritiro delle truppe Usa è condizionato dalla ricerca di una soluzione per Israele, problema non semplice. Si è parlato molto del vertice di Varsavia sull’Iran, ma a esso partecipano Netanyahu, i sauditi, i paesi del Golfo, assenti Iran, Russia e Turchia, mentre  la Germania ha inviato un sottosegretario, la Francia un civil servant. Sarà presente come  ministro degli esteri soltanto il britannico Hunt, ma a condizione che si parli della fine della guerra in Yemen. UK, Francia e Germania hanno deciso di continuare le relazioni commerciali con l’Iran, dopo la rottura di Trump sul trattato sul nucleare con l’Iran e apprestato Istenx, uno strumento per continuare le relazioni economiche con l’Iran, evitando le sanzioni Usa. Perché Varsavia ha ospitato il vertice sull’Iran? La Polonia, nazione martire, aggredita da russi e tedeschi dopo il patto Molotov-Ribbentrop, non dimentica che l’Armata Rossa a Katyn uccise la classe dirigente e militare polacca, e vuole essere difesa. Ha sempre avuto ottimi rapporti con l’UK, Trump l’ha definita il simbolo dell’Occidente.

L’unico interesse dei polacchi a ospitare il summit con Netanyahu star è di non essere più accusati dagli storici olocaustici ebrei di avere ucciso più ebrei dei tedeschi. Poiché la Polonia era occupata dai tedeschi, e anche i  polacchi furono vittime dei nazisti, l’accusa, come concordano i tedeschi, è singolare. Vari storici olocaustici americani hanno notato come nel film Shoah di Claude Lanzmann i polacchi siano descritti come i più feroci assassini degli ebrei, mentre è noto che erano anch’essi vittime dei tedeschi, e, inoltre, la percentuale più alta di ebrei fu uccisa in Olanda. Gli storici americani si sono anche interrogati sui motivi  del trattamento riservato ai polacchi nel film Shoah. In Polonia è in corso una intensa ricerca storiografica, per modificare l’ immagine data della Polonia nel film di Lanzmann. Ad essa collabora l’israeliano  Daniel Blatman, importante storico della Shoah, e questo ha sollevato forti proteste di Haaretz, convinto che la distruzione degli ebrei durante l’occupazione nazista sia interamente una colpa polacca.

Per Trump non è affatto facile trovare una soluzione per Israele. C’è chi sostiene un’alleanza Usa-Russia in funzione anti-Iran, ma Putin ha molte repubbliche ex sovietiche islamiche e certamente non vuole scatenare ondate di terrorismo islamico ( la Cecenia è un brutto ricordo). D’altra parte, se dalla Russia nel 1906 partirono i primi sionisti, come ricorda il libro di Ronen Bergman, Rise and Kill First, è anche vero che la rivoluzione bolscevica ebbe il grande sostegno del Bund, il partito ebraico dei lavoratori antizarista. Non va però dimenticato che Trotsky, ebreo proveniente dall’attuale Ucraina, protagonista della rivoluzione d’ottobre e comandante dell’Armata Rossa, fu espulso dal partito per la teoria della rivoluzione permanente, in contrasto con quella dell’edificazione del socialismo in un solo paese: il trotskismo fu ritenuto talmente pericoloso che Trotsky fu ucciso per ordine di Stalin nel 1940 e numerosi ebrei furono vittime delle purghe di Stalin, che però appoggiò il sionismo, sia per allontanare dalla Russia un’etnia di cui non si fidava, sia in funzione antibritannica.

I corrispondenti del Times di Londra dalla Russia nel 1917  rilevarono sempre con stupore il gran numero di ebrei coinvolti nella  rivoluzione, un numero sproporzionato rispetto alla popolazione. E sempre il Times notava stupito come in ogni rivoluzione comunista dal 1917 in poi si  trovassero leader comunisti ebrei. Paradigmatico è diventato il caso Lukács, filosofo ungherese, studente a Heidelberg, poi capo comunista della rivoluzione di Budapest e figlio del più grande banchiere di Budapest e uno dei più importanti banchieri ebrei europei.

Dopo il fallimento della rivoluzione,  Lukács, il cui vero nome era György Bernát Löwinger, poiché il padre aveva comprato un titolo nobiliare e germanizzato il nome della famiglia, in prigione per omicidio, fu salvato dal padre che pagò lautamente l’intelligence britannica, detentrice di molti segreti.  Del 2 novembre 1917 è la Dichiarazione Balfour, una lettera scritta dal ministro degli esteri UK a Lord Rothschild, leader della comunità ebraica britannica e del sionismo in UK, dove dichiarava la disponibilità dell’impero britannico a offrire un “focolare” agli ebrei nella Palestina appena tolta all’impero ottomano e sotto mandato britannico. I britannici, però, furono particolarmente attenti nei confronti dell’emigrazione ebraica in UK proveniente dai paesi dell’Asse. Gli ebrei provenienti dall’Italia dal ’40 in poi venivano classificati come “enemy alien” e messi in campi di concentramento. Alcuni di essi, come mostra il libro di Roderick Bailey, Target Italy: The Secret War Against Mussolini. 1940-43, uscito nel 2014, sull’attività del SOE ( Special Operations Executive) furono inviati in Italia a compiere atti di sabotaggio, spionaggio e altre operazioni. Una tecnica usata nei confronti di coloro di cui non si fidavano e di cui volevano testare l’affidabilità.

L’intelligence britannica sapeva che molti ebrei che si rifugiavano in UK avevano fratelli o parenti sionisti in Palestina, che avevano nel mirino arabi e britannici. Inoltre, in alcuni casi, gli ebrei italiani agenti del SOE in Italia, provenienti da famiglie con importanti rapporti col fascismo e dopo il ’38 con l’antifascismo più combattivo, erano i più adatti a colpire il regime.  Ciò che ha sempre sconcertato i britannici è che gli ebrei erano sia presenti nel comunismo, il cui obiettivo era la distruzione delle nazioni, e nel sionismo, il cui fine era fondare la nazione ebraica. Inoltre gli ebrei erano presenti nella finanzia, nei media, attivi nel giornalismo e nella politica. Per questo l’UK è lo Stato con rapporti più freddi con Israele, talvolta perfino ostili, nonostante in UK non vi sia traccia di antisemitismo.

Quando alla fine della seconda guerra mondiale il terrorismo sionista iniziò ad assaltare istituzioni britanniche a Londra e in Palestina, a uccidere civili, soldati e diplomatici britannici in Europa e in Medio Oriente, i britannici provarono il senso di un grande tradimento.  Per secoli, la Gran Bretagna era stato l’unico paese che non aveva mai istituito ghetti, né aveva mai perseguitato gli ebrei. Anzi, gli ebrei erano prosperati in Inghilterra. Erano banchieri, industriali, finanzieri, primi ministri, lord, giornalisti, accademici, etc. Gli attacchi sionisti in Palestina furono uno shock per i britannici, che si videro contro anche Stati Uniti, Russia, Francia e perfino fascisti italiani antisemiti. La Russia sovietica appoggiò la nascita di Israele all’Onu contro l’impero britannico, non certo perché filoebraica; in funzione antibritannica fu anche l’appoggio francese e quello dei repubblichini della Decima Mas che aiutarono i sionisti a emigrare illegalmente in Palestina. Il rapporto tra Russia sovietica e Israele s’incrinò quasi subito, quando Golda Meir, nata a Kiev, oggi Ucraina, arrivò come ambasciatrice di Israele a Mosca. Stalin e l’intelligence sovietica non gradirono il calore e la devozione con cui gli ebrei russi trattavano la Meir. Cominciarono a circolare voci di complotti di medici ebrei contro russi e gli ebrei furono emarginati. La situazione non cambiò molto dopo la morte di Stalin. Nel 1956 la Russia sovietica si schierò con l’Egitto contro  l’intervento di Israele accanto a UK e Francia per Suez. E nel 1967, Mosca si schierò dalla parte degli arabi.

È noto che gli Usa non avrebbero mai attaccato l’Iraq nel 2003 se la Russia sovietica fosse ancora esistita. Gorbaciov dette agli ebrei russi il permesso di emigrare in Israele. Ma dobbiamo ricordare che Gorbaciov non è tanto amato dai russi, né da Putin che considera una tragedia la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Putin si è schierato con la Siria per Tartus, ma anche perché gli Assad sono sempre stati i più fedeli alleati della Russia. La Russia con Putin è scattata quando gli Usa hanno occupato la Crimea ed è intervenuta in Siria anche con l’ok Usa. Pentagono e Trump non devono poi essere così in disaccordo per il ritiro dal Medio Oriente, a quanto racconta  Seymour Hersh in Military to Military.

Certamente, Putin ha invitato Netanyahu a Mosca a celebrare l’anniversario della vittoria della seconda guerra mondiale, Putin ha bisogno di mostrarsi amico di Israele mentre combatte per la Siria, insieme a Iran e Hezbollah, ma difficilmente appoggerebbe Israele contro l’Iran, perché si inimicherebbe la Cina, l’India, la Siria, gli Hezbollah e la Turchia. E’ anche difficile immaginare un possibile ritorno a Mosca degli israeliani “russi”, che sarebbero circa 1 milione, visti i problemi del passato. Da non dimenticare il forte legame di Putin con la Chiesa ortodossa russa, la nuova attenzione data alla famiglia dello zar e le dichiarazioni che la famiglia imperiale sarebbe stata vittima  di un omicidio rituale, dichiarazioni che hanno suscitato proteste da parte dell’ebraismo.

Il mondo arabo è poi imprevedibile e  non accetterebbe mai la Grande Israele di cui ogni tanto si favoleggia da noi. Israele non ha alcuna chance di diventare il gendarme degli Usa in Medio Oriente sia per ragioni demografiche, sia di spazio. Senza la presenza statunitense è assai difficile Israele, come avverte il FT, possa continuare a esistere come stato apartheid.

Quindi, nonostante la fama della grande potenza e influenza ebraica nel mondo, non sarà facile per Trump trovare una soluzione per Israele, senza eventi eccezionali o mutamenti clamorosi della politica israeliana nelle prossime elezioni. Gli stessi Stati Uniti con 6-7 milioni di ebrei hanno rapporti complessi con Israele. Da tenere presenti i conflitti tra Cia e Mossad: emblematico il caso dell’ebreo texano spia di Israele Pollard, prigioniero per 30 anni in Usa. Durante il maccartismo nel secondo dopoguerra, l’indagine contro le spie russe, in Usa vi fu anche un’ondata di diffidenza nei confronti degli ebrei, perché scienziati ebrei, e perfino  Oppenheimer, furono sospettati di avere passato ai russi segreti nucleari.  I Rosenberg furono condannati alla sedia elettrica e l’avvocato dell’accusa, Roy Marcus Cohn, in contatto con il capo del FBI Hoover  e McCarty  portò prove inequivocabili contro i Rosenberg, e diventò poi l’avvocato di Trump fino alla morte. Trump è stato votato da una minoranza di ebrei americani. E’ anche vero però che gli ebrei americani democratici, come dimostra anche il grande spazio dato dal New York Times a Ronen Bergman e al suo libro sugli omicidi mirati israeliani di scienziati e capi politici arabi, sono scettici su Israele, quando non contestano apertamente la politica di Netanyahu. Trump ha fatto il famoso annuncio su Gerusalemme capitale d’Israele, ma l’unico risultato è stato riportare alla ribalta la questione palestinese. Anche l’Egitto di Al Sisi, alleato importante di Trump, chiede di risolvere al più presto la questione palestinese, creare uno Stato palestinese e dare a esso Gerusalemme est come capitale. Solo pochi Stati hanno deciso di trasferire l’ambasciata a Gerusalemme, tra essi alcuni sono poveri, altri come l’Ungheria di Orban hanno instaurato buoni rapporti con Netanyahu in previsione di finanziamenti ebraici e lo stesso potrebbe dirsi del Brasile di Bolsonaro.

Gli ebrei americani democratici da anni parlano di smantellare Israele, il problema più grande è però la sorte degli israeliani provenienti dai paesi dell’Est Europa sia per l’enorme numero, sia perché non hanno più legami con i paesi dei provenienza. Fin dagli accordi di Clinton di Camp David si è parlato della possibilità di un ritorno degli ebrei nei Balcani e associazioni ebraiche americane da almeno vent’anni lavorano per ricostruire sinagoghe e resuscitare vecchie comunità ebraiche. Ma anche questo è un percorso problematico, perché gli ebrei per legami internazionali di ogni tipo e attivismo politico sono considerati con diffidenza.

Molti ebrei israeliani tornano invece in Germania, e si sa che c’è questo ritorno in sordina in alcuni paesi dell’eurozona. Nelle biblioteche di Londra s’incontrano da anni studiosi israeliani che chiedono ai lettori se sarebbero contenti di un ritorno degli ebrei da Israele in Europa, visti i gravi pericoli che corre Israele per l’ostilità  araba e dell’Iran. E quasi sempre arriva la risposta sarcastica British. Come è noto, in UK il 45% dei cittadini dice pubblicamente di non sapere cosa sia l’Olocausto, due milioni e seicentomila britannici sono negazionisti e l’8% sostiene che il numero dei 6 milioni sia del tutto esagerato. Però, l’UK non è affatto antisemita e molte famiglie israeliane in fuga da Israele scelgono proprio la Gran Bretagna come paese dove ricominciare una vita.

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