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Perché non è una buona idea nominare un rettore (Manfredi) ministro dell’Università. Il pensiero di Ocone

"Ocone's corner", la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista, sulla scelta del premier Conte di voler nominare il rettore Gaetano Manfredi ministro dell’Università

Non conosco Gaetano Manfredi, il rettore della “Federico II” di Napoli, appena indicato dal premier Conte come prossimo ministro dell’Università al posto del dimissionario Lorenzo Fioramonti, che di deleghe aveva anche quella alla scuola.

Non ho motivo di credere che non sia una persona seria, stimabile, competente, preparata. Nè in verità, in questa sede, mi interessa fare un discorso politico, e tantomeno (non è nel mio stile) legato alle persone piuttosto che alle loro idee e comportamenti o a ciò che rappresentano.

Sgombro pure il terreno da ogni possibile “moralismo”: il tema “anti-casta” del “raddoppio dei costi” mi sembra inesistente e demagogico, vuoi perché non è in quest’ordine di spese che si annidano i veri “sprechi dello Stato”, vuoi perché, se a guadagnarne fosse la funzionalità, ben venga la moltiplicazione dei ministeri e anche degli stipendi.

Fatti tutti questi distinguo, ciò che mi preme però qui dire è che, contrariamente a quanto possa apparire al pensiero ingenuo, l’idea di mettere alla guida del dicastero dell’Università un rettore, fra l’altro anche presidente della CRUI (la Conferenza dei Rettori Universitari Italiani), non è da considerarsi affatto, in linea di principio, una buona idea. E cerco di spiegare perché.

Un rettore conoscerà pure meglio di altri l’oggetto di cui andrà ad occuparsi, ma è comunque, e non potrebbe essere altrimenti, il membro di una corporazione. In quanto tale egli non solo ha sempre fatto giustamente gli interessi della propria parte, ed è indotto comunque a continuare a farli, ma ha anche acquisito negli anni una forma mentis che lo porta a vedere le questioni dell’Università da una sola prospettiva. E’ giusto che sia così, perché la parzialità che è connessa al proprio ufficio, vissuta con consapevolezza, significa serietà dell’impegno.

Ma l’Università però non è un bene dei soli professori: lo è di chi ne fruisce, cioè gli studenti; di chi ne sopporta il peso, cioè i genitori; di coloro che ne subiscono direttamente o indirettamente le ricadute economiche e sociali, cioè noi tutti. In una parola, l’Università è un bene di tutta la società e, in quanto tale, la sua governance va affrontata con una visione globale e senza ottiche particolaristiche. Chi ha o dovrebbe avere questa visione è solo un politico. E veramente conta poco che sia iperlaureato o non, come che abbia un curriculum da premio Nobel o da normale persona mediamente istruita.

Certo che la competenza conta anche in politica, ma la competenza che è propria di questa attività è ad essa specifica, è proprio la competenza politica non quella tecnica. Essa è è fatta di esperienza, capacità di sintesi, volontà mediatrice. Il mito dei tecnici o della competenza, e l’altro iperdemocraticista dell’“uno vale uno” per cui “anche la mia governante sarebbe in grado di amministrare o governare uno Stato”, sono gli opposti ma speculari miti di una società come la nostra sempre più banale e irriflessiva.

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