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Perché M5s conta davvero pochino ormai in Parlamento

La notiziona del voto di ieri in Senato su Renzi sta nella fine della decantata “centralità” dei grillini in questa disgraziatissima legislatura. I Graffi di Damato

La notiziona del voto di ieri in Senato su Renzi sta nella fine della decantata “centralità” dei grillini in questa disgraziatissima legislatura. I Graffi di Damato

 

Scusate la pedanteria di un vecchio giornalista alle prese con la notizia politica del giorno. Che non sta tanto nella ormai scontata decisione del Senato, per niente “vergognosa”, come l’hanno definita al solito Fatto Quotidiano, di impugnare davanti alla Corte Costituzionale i metodi d’indagine adottati a Firenze contro Matteo Renzi e amici per i presunti finanziamenti illegali ad una fondazione equiparata ad un partito. Per come le cose si erano messe nella competente giunta di Palazzo Madama, l’esito della discussione e del voto in aula non poteva essere diverso. La notizia, anzi notiziona, che da sola mi ripaga di tutte le occasioni perdute dal pur buon Sergio Mattarella per rimandare gli italiani alle urne ben prima che glielo impedisse, l’anno scorso, l’andamento della pandemia; la notiziona, dicevo, sta nella fine ora ben certificata della presunta, decantata “centralità” dei grillini in questa disgraziatissima legislatura ormai e finalmente agli sgoccioli anch’essa, mancando un anno alla scadenza ordinaria.

I grillini sono stati letteralmente sommersi dai 167 voti su 244 senatori presenti, nessuno dei quali astenutosi, con i quali i pubblici ministeri di Firenze sono stati praticamente contestati, o “assaltati”, secondo il linguaggio del già citato Fatto Quotidiano, per non avere rispettato neppure quel poco che è rimasto dell’immunità parlamentare dopo l’amputazione subita dall’articolo 68 della Costituzione negli anni di “Mani pulite”, quando fu praticamente deciso il ribaltamento dei rapporti di forza fra la politica e la giustizia concepiti alla nascita della Repubblica.

Non solo sono stati battuti a dispetto della vantata “centralità”, che ha loro permesso di cambiare disinvoltamente alleati al governo dal 2018 in poi, prima assumendo, poi scaricando e infine riassumendo i leghisti in compagnia anche dell’ex “psiconano” Silvio Berlusconi, ma i grillini si sono lasciati guidare nella loro ultima campagna giustizialista da una pattuglietta di senatori -quelli dei cosiddetti liberi e uguali- guidati a loro volta in aula, con tanto di intervento di dottrina e di politica, da Pietro Grasso. Che -senza offesa, ma solo in ordine rigorosamente cronologico della sua vita- prima di essere un ex presidente del Senato, seconda carica dello Stato, deve essere considerato un ex magistrato, prevalentemente d’accusa avendo concluso non a caso la propria carriera giudiziaria come procuratore nazionale antimafia.

Nella loro ebbrezza metaforica di forza politica “centrale” di questa curiosa diciottesima legislatura, ai grillini è capitato, fra l’altro, di guidare con Giuseppe Conte ben due governi e con Alfonso Bonafede anche il Ministero della Giustizia. Per fortuna non sono riusciti a scalare pure il Quirinale, limitandosi ad impedire che lo facesse Mario Draghi e ripiegando alla fine sulla conferma di Mattarella, dopo avere tentato di portarvi la regina degli 007, in una concezione molto particolare, diciamo così, delle istituzioni di consolidata democrazia.

Può darsi, per carità. che abbia esagerato Emilio Giannelli nella sua vignetta sul Corriere della Sera a celebrare quanto è appena accaduto al Senato come il passaggio, per quanto assai ritardato, dalle “Mani pulite” di 30 anni fa alle “Mani punite” di questo 2022 ancora agli inizi. Ma certo qualcosa sta finalmente cambiando. E ancor più potrebbe cambiare con i referendum sulla giustizia appena ammessi dalla Corte Costituzionale, pur minacciati di sostanziale boicottaggio da assenteismo col tentativo di fissarne la data nell’ultima domenica utile di giugno.

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