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Olanda

Perché l’Olanda irrita Ungheria e Polonia sul Recovery Fund

Che cosa succede sul Recovery Fund. L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

La polemica sullo stato di diritto in Europa sta salendo di tono, oltre ogni previsione. Tanto che neppure Angela Merkel, presidente di turno del Consiglio europeo, riesce più a tenere a bada i paesi frugali, che chiedono punizioni esemplari contro Polonia e Ungheria per il mancato rispetto dello stato di diritto, compresi i diritti Lgbt. A soffiare sul fuoco è soprattutto l’Olanda, con il premier Mark Rutte in prima linea, impegnato nella difficile campagna elettorale per le politiche nel suo paese, previste in primavera. Il suo vero obiettivo, del tutto strumentale a sentire gli avversari, va però ben oltre lo stato di diritto, usato come pretesto per ritardare il più a lungo possibile l’entrata in funzione del Recovery Fund, di cui Rutte non è mai stato un sostenitore.

Anche se in luglio il premier olandese era stato il più tenace oppositore del Recovery Fund, la cui formulazione richiese ben cinque giorni di vertice e l’inserimento di ogni sorta di condizionalità, compreso il rispetto dello stato di diritto, ora in Olanda è accusato dall’opposizione di avere ceduto a troppi finanziamenti per i paesi del Sud Europa. Tema di forte presa elettorale, consacrato nel video ormai virale su Youtube in cui un operaio portuale, prima del vertice di luglio, chiedeva a Rutte di non dare neppure un euro all’Italia, e il premier assentiva alzando il pollice.

La clausola sul rispetto dello stato di diritto, che è tra le ultime nelle 59 pagine del Recovery Fund, erano tuttavia alquanto generiche, facilmente eludibili da Polonia e Ungheria, che erano i principali bersagli. Per questo, l’Olanda e altri paesi del Nord ne hanno chiesto una formulazione più dettagliata e severa, da inserire nel negoziato in corso nel Parlamento europeo, compito che la Merkel ha accettato, delegandolo agli sherpa. Il nuovo testo, esaminato martedì dai 27 ambasciatori Ue, è in realtà una mediazione proposta da Germania e Italia, in vista del prossimo vertice dei capi di stato e di governo (15 ottobre): inutile dire che l’Italia, destinataria della fetta maggiore del Recovery Fund, ha tutto l’interesse ad accelerare i tempi.

Ma gli ostacoli sono continui. Infatti, al momento del voto tra gli sherpa, la mediazione è stata approvata a maggioranza qualificata, con il voto decisivo dell’Italia, ma bocciata da nove paesi Ue. Un «no» che, per paradosso, ha visto votare insieme i paesi avversari: da un lato sette capeggiati dall’Olanda, che considerano la mediazione troppo blanda (Finlandia, Danimarca, Svezia, Austria, Lussemburgo, Belgio); sul fronte opposto Polonia e Ungheria, che lo giudicano troppo severo. Per i frugali, l’emendamento italo-tedesco è troppo vago, comunque di difficile applicazione, poiché bloccherebbe l’erogazione dei fondi Ue soltanto in caso di violazioni accertate, procedura che consentirebbe a Polonia e Ungheria di guadagnare altro tempo, probabilmente anni, mentre i dossier aperti a loro carico da Bruxelles negli anni scorsi sono numerosi, però mai sanzionati con procedure d’infrazione complete.

Da qui la minaccia esplicita di Rutte: se il Parlamento Ue non approverà una clausola più stringente sullo stato di diritto, l’Olanda bloccherà il Recovery Fund con il «no» del Parlamento dell’Aja. Un veto al quale potrebbe aggiungersi quello dell’Ungheria, dove il premier Viktor Orbàn, per ritorsione contro la clausola sullo stato di diritto, minaccia di non votare a favore della parte del Recovery Fund che introduce nuove imposte Ue per finanziare con risorse proprie il piano anti-crisi (carbon tax e digital tax, oltre alla tassa sulla plastica). A quel punto, altro che rinvio: il Recovery Fund finirebbe azzerato.

A gettare altra benzina sul fuoco è appena giunto il primo rapporto della Commissione Ue sul rispetto dello stato di diritto, firmato dalla commissaria ceca ai Valori e alla Trasparenza, Vera Jurova. I capitoli più duri sono quelli dedicati a Polonia e Ungheria, accusate di «crescente influenza del potere esecutivo e legislativo sul funzionamento della giustizia». Quanto alla Polonia, viene censurato anche l’operato del governo nei confronti delle Ong e dei gruppi Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali, transgender). Violazioni considerate gravi, che già in passato hanno indotto la Commissione Ue ad aprire procedimenti per eventuali infrazioni allo stato di diritto, rimasti però fermi nei cassetti di Bruxelles. A questi, secondo il rapporto Ue, potrebbe aggiungersi anche una proceduta in base all’articolo 7 del trattato di Lisbona, che in caso di condanna comporterebbe addirittura la sospensione del diritto di voto di Polonia e Ungheria nei vertici europei, mentre tutti gli obblighi finanziari resterebbero in piedi. Una sanzione che a Bruxelles viene definita «bomba atomica», finora mai usata.

Per tutta risposta, Orban ha scritto alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, per chiedere le dimissioni della commissaria Jurova, con la quale l’Ungheria ha deciso di sospendere i contatti. Cose mai viste finora nell’Unione europea, dove il Recovery Fund rischia di restare vittima di veti incrociati. Tanto che perfino l’ambasciatore tedesco presso l’Ue, Michael Clauss, ha dichiarato: «È aumentata la mia preoccupazione che, col dibattito acceso sullo stato di diritto nell’Ue e al Consiglio, si vada sempre più incontro a un blocco sull’insieme dei negoziati di bilancio. Molto probabilmente saranno inevitabili ritardi, con conseguenze per la ripresa economica dell’Europa». Per l’Italia, significa che il governo Conte-Gualtieri deve cambiare musica: invece dell’euforia per il Recovery Fund, serve un bagno di realismo, e prendere atto che dovremo fare da soli, con molti sacrifici, almeno per un altro anno.

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