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Perché lo stop dell’Europarlamento al Fiscal Compact farà gioire il governo. Il commento di Polillo

Ecco effetti e scenari dopo che la Commissione Affari economici dell’Europarlamento ha detto no all’inserimento del Fiscal Compact nell’ordinamento giuridico europeo. Il commento di Gianfranco Polillo

Può capitare che un colpo di fortuna cambi lo scenario. Il contesto è quello della guerra un po’ sanguinosa dell’Italia contro tutti. Non solo contro la Commissione presieduta da Junker, ma l’insieme dei governi europei. In una disputa sempre più incerta la dea fortuna sembra aver offerto una nuova chance alla maggioranza giallo-verde.

La Commissione Affari economici dell’Europarlamento ha appena detto no all’inserimento del Fiscal Compact nell’ordinamento giuridico europeo, respingendo la proposta del relatore Donald Hubner (Ppe), avanzata a nome della stessa Commissione Ue. Una battaglia all’ultimo voto: terminata con 25 voti a favore e 25 contro. E quindi con il suo rigetto della proposta avanzata.

Il suo significato politico è evidente. Altrettanto le relative contraddizioni. Da una parte i governi europei uniti contro l’Italia nell’esigere il rispetto delle “regole”; dall’altra i rappresentanti politici delle stesse Nazioni che bloccano uno schema ritenuto ormai controproducente. Che si pronunciano contro la retorica dell’austerity e quindi, implicitamente, contro l’idea stessa di punire i possibili trasgressori. Pura schizofrenia, che dimostra, tuttavia, a che punto siano giunte le fragilità dell’intera costruzione europea.

Colto evidentemente di sorpresa lo stesso Valdis Dombrovskis, nella sua intervista alla Stampa ha mostrato imbarazzo: “Prendiamo nota di questo voto e vediamo che implicazioni avrà sui governi che saranno chiamati a decidere”. L’idea, ma forse anche la speranza, è che rimanga comunque prevalente l’approccio intergovernativo. Altro piccolo mistero delle liturgie europee. Tutto basato sulla scissione tra il volere del Parlamento è quello dei singoli governi. Anche quando, come in questo caso, si verifica un vero e proprio corto circuito.

Si cercherà, pertanto, di far finta di nulla. Come se quella votazione non fosse mai avvenuta. Ipotesi che può avere anche successo se il governo italiano rimarrà inerte, invece di pretendere il rispetto dei Trattati. Già l’articolo 16 richiedeva una preventiva discussione di merito volta a verificare i risultati conseguiti, nei 5 anni di sperimentazione dell’austerity. Impegno passato in cavalleria.

Partendo dal voto negativo dell’Europarlamento la proposta italiana dovrebbe essere quella di una discussione franca sui correttivi da apportare ad un meccanismo che non sembra più rispondere alle esigenze del futuro.

Non si dovrebbe più guardare ai soli fondamentali di natura finanziaria (deficit e debito), ma tener conto di un secondo pilastro, pure considerato nelle regole europee, ma subito depotenziato del suo reale significato. Quello relativo agli squilibri macroeconomici, che dovrebbero operare come correttivo. All’eventuale deficit delle partite correnti della bilancia dei pagamenti, dovrebbe corrispondere una stretta fiscale anche maggiore rispetto alle attuali prescrizioni. Ma in caso di surplus – vedi la situazione italiana – dovrebbe valere il contrario. Fermo restando l’obbligo di destinare le possibili maggiori risorse esclusivamente per finanziare politiche di sviluppo e riforme di carattere strutturale.

Può sembrare un’idea velleitaria. Ed invece fa parte del normale bagaglio culturale di qualsiasi economista. Se così non fosse non si capirebbero le recenti osservazioni di Klaus Regling, l’esponente tedesco che guida il Fondo salva stati dell’Ems. Solo per citare un ultimo caso. Parlando dell’Italia, nel respingere ogni paragone con la Grecia, aveva sottolineato la forza relativa di un Paese caratterizzato da una forte “eccedenza delle partite correnti” a dimostrazione che fissarsi su qualche numero esoterico, come il deficit strutturale corretto per l’andamento del ciclo, tanto caro alla Commissione europea, non è il miglior viatico per giudicare dello stato effettivo di un’economia.

Bisogna quindi uscire da questa cappa che sta soffocando le speranze di vita di milioni di persone. L’Italia e l’Europa possiedono risorse che l’ortodossia finanziaria ha finora congelato. Sull’onda del voto del Parlamento europeo se ne può finalmente cominciare a discutere.

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