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Perché la candidatura di Kamala Harris è un po’ debole. Parla il prof. Del Pero (SciencesPo)

Kamala Harris è strettamente legata a Biden ed è espressione di quel mondo liberal, di colore e californiano che non ha un profilo ideale per sperare di vincere negli Stati chiave del Midwest. Conversazione con Mario Del Pero, professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all'Institut d'Études Politiques - SciencesPo di Parigi

Una candidatura in salita quella di Kamala Harris e non solo per quel pedigree liberal che le renderà difficile espugnare gli Stati chiave del Midwest. Secondo Mario Del Pero, professore di Storia Internazionale e di Storia degli Stati Uniti all’Institut d’Études Politiques – SciencesPo di Parigi, l’improvvisa uscita di scena di Biden apre una fase di fibrillazione per un Partito democratico cui mancherà la straordinaria capacità di unire del Presidente uscente.

Ecco la conversazione di Startmag con il professor Del Pero.

Era inesorabile l’uscita di scena di Biden?

Direi di sì, anzi si è atteso sin troppo secondo me, in quanto Biden non chiedeva solo di essere votato per sconfiggere Trump, ma chiedeva di essere eletto per un secondo mandato di quattro anni alla Casa Bianca. Una richiesta che non è apparsa credibile agli elettori dal momento che sembrava evidente che egli non avesse le energie necessarie per affrontare quel compito.

Sono stati gli stessi elettori dunque a spingerlo alla rinuncia.

Sì, a ritmo di sondaggi implacabili in cui una larga maggioranza dell’elettorato democratico chiedeva di sostituirlo. Sondaggi che sono addirittura peggiorati negli ultimi tempi soprattutto negli Stati decisivi con un drastico calo delle possibilità di essere eletto.

E adesso che scenari si aprono? Lo scontro sarà fra Trump e Harris?

Ci sono due scenari. Il primo, che ritengo più realistico, è che alla luce dei tanti endorsement ricevuti e soprattutto dei tantissimi delegati alla Convention che erano vincolati a votare Biden, la candidata al posto dI Biden sarà senz’altro Harris e la stessa Convention rappresenterà un momento di incoronazione.

E se non andasse così?

C’è un’altra opzione ed è quella che scendano in campo altri candidati che sfidino Harris alla Convention. Ricordo però che le regole di quest’ultima prevedono che in prima battuta votino solo i delegati eletti e se questi non raggiungono la maggioranza è prevista una seconda votazione a cui parteciperanno anche i superdelegati e le figure istituzionali del Partito. Trovo però tutto ciò inverosimile anche se non lo possiamo escludere del tutto.

Cioè cosa potrebbe succedere?

Se oggi, per fare un’ipotesi di scuola, un ministro di Biden si presentasse alla stampa e dicesse di volersi candidare a quel punto andremmo verso una Convention aperta. E questo rischierebbe di aprire uno scontro fratricida in un Partito che è di suo già diviso se non lacerato e ad alto tasso di conflittualità.

Come vede la candidatura di Harris?

Si tratta di una candidata relativamente debole, in quanto non solo strettamente legata a Biden ma espressione di quel mondo liberal, di colore e californiano che non ha un profilo ideale per sperare di vincere negli Stati chiave del Midwest.

Come cambiano le prospettive del Partito democratico ora che è uscito di scena Biden?

Viene meno una figura molto abile nel produrre sintesi e coesione nel Partito. Questo è stato lo straordinario successo politico di Biden in questi tre anni e mezzo. Nessuno come lui ha saputo tenere unita un’Amministrazione tanto che non vi è stata nemmeno una dimissione polemica. Biden inoltre è riuscito a portare a casa leggi importantissime senza perdere un voto in Parlamento.

E adesso che lui non c’è più?

Quello che io vedo adesso è un Partito più plurale e soprattutto più giovane. Lo vediamo dai sindaci o dai governatori o da alcuni influenti membri del Congresso. Venuto meno Biden, questa possibile effervescenza del Partito democratico potrebbe anche emergere.

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