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Perché il centrodestra continua a stare in panchina?

Perché l'opposizione non scompagina i giochi della sinistra e non fa un nome secco, come quello di Mario Draghi o chi per lui, per un War Cabinet? Il corsivo di Paola Sacchi

 

Premesso che chi scrive è stata e resta sempre convinta del fatto che a votare ci si sarebbe dovuti andare già nell’autunno 2019 quando Matteo Salvini staccò la spina al Conte 1, resta il fatto che certe prime reazioni di aree di destra più che di centro dell’opposizione di fronte alle dimissioni del Conte 2 ci hanno fatto ritornare in mente una celebre gag di Corrado Guzzanti. Quella nella quale, a parti rovesciate, di fronte alle possibili dimissioni di Silvio Berlusconi il comico di sinistra imitando, in modo esilarante, Francesco Rutelli diceva al tanto osteggiato Cav: “Berlusco’ ma che fai, mo’ ti dimetti?!”.

Questa impressione più che ai leader è riferita a una certa area editorial-culturale d’opposizione dura e pura per la quale Conte e le cosiddette “casalinate”, cioè i contestati e inediti metodi comunicativi del portavoce Rocco Casalino, sono stati finora pane della battaglia quotidiana.

Non sappiamo se Conte tornerà in una edizione ter, ma ieri sera c’era chi già pur in queste zone dell’opposizione la dava per scontata, anche se certamente non approvandola.

C’è però larga parte del Paese, un Paese dove il centrodestra governa la stragrande maggioranza delle Regioni, che spera davvero di no e che questa ipotesi non la vorrebbe neppure prendere in considerazione.

È l’Italia che non vive nei talk tv o sui social, l’Italia in carne e ossa azzannata dalla doppia crisi non solo sanitaria ma anche economica.

È chiaro che questa prima parte della partita per ora l’ha vinta Matteo Renzi, comunque si pensi di lui e comunque andrà a finire, diventando di fatto, al di là di eventuali ulteriori riforme elettorali, l’effettivo ago della bilancia che ha smosso le acque di una situazione bloccata.

Purtroppo l’opposizione, pur con le sue giuste richieste che peraltro combaciano in buona parte con quelle stesse del leader di Iv, in questa situazione rischia di fare la parte ancora una volta del giocatore in panchina che senza un piano b si ferma alla richiesta inascoltata di sempre: elezioni.

Giustamente viene ricordato che in tante altre parti dell’Europa e del mondo si è andato e si va a votare nonostante la pandemia. Premesso che per chi scrive sarebbe giusto farlo perché stando ai numeri delle elezioni regionali c’è ormai una netta discrasia tra un Paese maggioritario di centrodestra o destracentro e un governo o ulteriori governi minoritari nel Paese di centrosinistra, però va anche ricordato che le elezioni straniere di cui si parla tanto non sono anticipate, ma tutte o quasi alla scadenza di un mandato.

E comunque in politica servono sempre i piani b. Come quella di un War Cabinet o “governo dei migliori” come lo ha definito ieri sera il numero due di Forza Italia Antonio Tajani che, come aveva già fatto Berlusconi, parla di due opzioni ormai: o governo di emergenza, istituzionale, nazionale su tre punti dai vaccini alle imprese oppure le elezioni. Questa, ha precisato Tajani, non sarebbe la cosiddetta “maggioranza Ursula”, che portò alla vittoria la presidente della commissione Ue, espressione del Ppe, dove ai voti italiani di Fi si aggregarono poi forze diverse come voti pentastellati e del Pd nel Pse, cui, ha ricordato Tajani, fu impedito di avere il presidente perché il Ppe era il partito di maggioranza.

Questo significa quindi che nel “governo dei migliori” in Italia dovrebbe esserci non solo Fi, ma tutto il centrodestra che invece (Lega e FdI) a Bruxelles su quella votazione non andò unito. Dal momento che la Lega, partito con più consensi della coalizione, a Bruxelles non sta nel Ppe, ma con forze come quella di Marine Le Pen o la formazione nazionalista tedesca Afd, alleanza che costituisce ancora agli occhi dell’establishment un oggettivo problema per superare l’esame di “europeismo”, comunque si pensi. Anche se Matteo Salvini ha sottolineato in più occasioni che la Lega vuole riformare la Ue e non certo uscire dall’euro. Così come ha fatto Meloni, che è a capo dei Conservatori e riformisti.

Ma in tempi in cui l’Italia dipende oggettivamente dall’Europa per il Recovery Fund chiaro che quelli che vengono visti o bollati come gap pesino, eccome, e vengano usati da alibi.

Proprio per questo, dal momento che difficilmente si andrà a elezioni anticipate proprio perché il centrosinistra non intende cedere al centrodestra il ruolo determinante nell’elezione del Capo dello Stato del 2022, perché l’opposizione non scompagina i giochi eterni di una sinistra che da sempre se la canta e se la suona? E non fa un nome secco, come quello di Mario Draghi o chi per lui per un War Cabinet?

Sarebbe anche un modo per non regalare tutta a Renzi la parte del vincitore o comunque del liberatore dal Conte 2. E, cosa non meno importante, non trovarsi un giorno dopo le elezioni del 2023 a governare sulle macerie provocate da politiche anti-impresa e assistenzialistiche come il reddito di cittadinanza care ai 5 Stelle. Alla cui politica della decrescita proprio Salvini ebbe il merito di staccare la spina, facendo cadere il Conte 1, che naufragò sulla Tav non su amenità da Papeete, e costringendo così il centrosinistra a metter su un governo raccogliticcio.

Un esecutivo nato contro di lui e il resto del centrodestra. Che a distanza di un anno e mezzo ha infatti puntualmente mostrato tutte le crepe. Sarebbe forse anche per il leader della Lega un modo per far valere il merito che il tanto deriso Papeete, alla luce della crisi politica di ora, ebbe.

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