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Perché Enrico Letta ha l’ansia di coprirsi a sinistra?

Le prime mosse del segretario Pd, Enrico Letta, analizzate da Gianfranco Polillo

 

Tutto si può dire di Enrico Letta, meno che non sia un uomo di mondo. Solida cultura di base. Conoscenza profonda dei meccanismi che sorreggono una società evoluta. Esperienza di carattere internazionale. Frequentazione del mondo delle élite europee e non solo. Appartenenza, cosa che non guasta, ad una delle famiglie italiane tra le più prestigiose. Basti pensare allo zio Gianni. E poi le entrature in Vaticano. Anche se in questo caso, difficile dire se destinate ad operare nel segno della modernità, considerata la predicazione di Papa Francesco. Tutte qualità, che avremmo preferito — ma non disperiamo — trovare immediatamente trasfuse, fin dall’inizio, nella sua gestione politica.

Ed invece, al di là del garbo dell’uomo, si assiste a qualcosa di imprevisto. Il prevalere di una visione identitaria che mal si concilia con quel pragmatismo che, in passato, rappresentava la fonte principale del suo modo d’operare. Sullo ius soli i pareri possono essere diversi. Non v’è dubbio che una volta stabilizzato il flusso migratorio, il problema debba essere affrontato e risolto. Ma è questa la fase attuale? Un problema di iure contendo mal si presta ad essere evocato in un momento, come quello, che l’Italia sta vivendo. Ed in cui tutti gli sforzi, in un afflato di carattere unitario, dovrebbero essere rivolti nella lotta contro la pandemia.

Secondo problema: il voto ai sedicenni. Proposta accattivante, non v’è dubbio. Ma anche eccentrica rispetto ad un comune sentire. Del resto, se non andiamo errati un limite così basso, in Europa, è previsto solo per il Nationalrat austriaco. In tutti gli altri casi, vale la regola dei 18 anni. Letta, quindi, corre in avanti per non cadere indietro. L’anomalia dell’Italia sul Senato è evidente. Nella stragrande maggioranza dei Paesi europei a 18 anni non solo si vota per il Senato, salvo i casi dell’elezione indiretta. Ma a quell’età, a meno di qualche eccezione (Grecia 25 anni, Irlanda 21), si può anche diventare senatori. Quando in Italia ci vogliono 25 anni per votare e 40 per essere eletti, come dispone l’articolo 58 della Costituzione.

In Parlamento è stata da tempo presentata una legge di modifica costituzionale, che si è arenata dopo la prima votazione. Al di là delle normali beghe politiche, il pericolo di rendere la Camera dei deputati ed il Senato ancor più fotocopia, è risultato paralizzante. L’ennesima dimostrazione, dopo la decisione di ridurre il numero dei parlamentari, fuori da un più generale contesto di riforma, dei rischi che si corrono nel mettere il “cacciavite” di cui ha parlato lo stesso Letta, in una presa di corrente. Il pericolo è un ricorrente corto circuito.

L’episodio che ha fatto più discutere è stato comunque quel tweet sul condono. “Pessimo inizio di Salvini — ha cinguettato il neo segretario — ha tenuto in ostaggio per un pomeriggio il Consiglio dei ministri”. Oggi replicato dall’intervento sulla Stampa di Roberto Gualtieri, l’ex ministro dell’Economia e candidato, anche se per solo qualche settimana, a futuro sindaco di Roma. “La Lega — ha ruggito — la smetta di fare propaganda”. Riferendosi, evidentemente, a come erano andate le cose a proposito della cancellazione delle cartelle esattoriali più antiche, con il loro doppio vincolo: 5 mila euro ed il limite di 30 mila per il reddito del contribuente.

Si sa che l’argomento “tasse” per il Pd è quanto mai indigesto, a meno che non riguardi il proprio blocco sociale di riferimento. Fino ad un reddito inferiore di 40 mila euro, si può operare con bonus e provvidenze varie. Sulla restante parte dei contribuenti — quel 13 per cento che contribuisce per il 50 per cento al carico fiscale complessivo — si può invece continuare a picchiare duro. Nella ventilata riforma “à la tedesca” dello stesso Gualtieri si pensava ad un algoritmo destinato ad alzare ulteriormente la curva, per aumentare l’aliquota media del prelievo per i redditi superiori ai 75 mila euro. Che da soli, pur essendo solo il 2,5 per cento dei contribuenti, vi contribuiscono per il 28 per cento.

Al di là del merito resta, tuttavia, un problema politico. La critica degli esponenti del Pd investiva la Lega o prendeva invece di mira, seppure in modo traslato, lo stesso Mario Draghi? Domanda non peregrina visto quanto ammesso dallo stesso Presidente del consiglio: “si è trattato di un condono, ma resasi necessario a seguito delle disfunzioni dell’apparato della riscossione, che va riformato.” Cosa, evidentemente sfuggita all’ex ministro dell’Economia. Resta pertanto quella stessa domanda che aveva contribuito a determinare le stesse dimissioni di Nicola Zingaretti. Il Pd sta lavorando per consegnare Mario Draghi al centro destra? Dove sono finiti i moniti di Sergio Mattarella, quando esortava all’unità, necessaria per combattere la pandemia?

Ma per tornare ad Enrico Letta, il rovello non è da poco. Se un personaggio, che ha le caratteristiche indicate all’inizio, è costretto a coprirsi a sinistra, in un modo così imbarazzante, qual è la ragione? Non abbiamo risposte, ma semplici sospetti. È il condizionamento pesante della cultura di quel partito. Non di tutto per la verità. Perché c’è sempre stata una componente riformista. Do you remember i miglioristi? Ma hanno sempre contato meno di niente. Con il grande paradosso di Giorgio Napolitano. Unico Presidente della Repubblica chiamato a questo incarico a furor di popolo. Anzi dei grandi elettori. Ma sempre messo ai margini, nella gestione reale del partito. Che rimarrà quello che è sempre stato. Possono cadere, con fragore, muri come quello di Berlino. Ma, come dice il proverbio, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire.

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