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Perché è inaccettabile la tafazziana posizione della Commissione europea su Fincantieri-Stx

Il dato più preoccupante del comunicato della Commissione Europea su Fincantieri-Stx è la proclamazione di debolezza geopolitica. Il commento di Alessandro Aresu

 

Il comunicato della Commissione Europea dell’8 gennaio su Fincantieri, in termini geopolitici, si pone in continuità con il percorso inaugurato nel dibattito delle elezioni presidenziali francesi tra Marine Le Pen e Emmanuel Macron. In quell’occasione, come abbiamo sottolineato l’anno scorso su Limes analizzando il nesso tra sovranismo e macronia, Macron volle mostrarsi altrettanto duro di Le Pen con les Italiens.

La differenza tra i due stava nella padronanza degli strumenti burocratici e legislativi che Macron avrebbe adoperato a tutti i costi per favorire la controparte francese, e che mostrava già nel corso del dibattito.

In ogni passaggio di questa difficile trattativa, gli italiani ricevono in modo sistematico disparità di trattamento rispetto a un attore extraeuropeo, o extraplanetario. Come se dovessero chiedere in ogni momento scusa della capacità industriale e di innovazione sviluppata negli anni dalla guida manageriale di lungo corso e dalla forza lavoro di Fincantieri.

Farebbe torto al nostro campione navale, e a un progetto industriale di lungo termine, identificare la questione con le schermaglie politiche tra i governi o con il ben assortito “calderone” in cui si accomodano tutte le questioni aperte tra Roma e Parigi, in attesa di Mediobanca e Generali. O cogliere l’occasione per immaginare l’eccelsa performance di un partito “macroniano” in Italia.

Se guardiamo più a fondo, il dato più preoccupante del comunicato della Commissione Europea è la proclamazione di debolezza geopolitica. L’operazione, a detta della Commissione, potrebbe nuocere alla concorrenza “nel mercato mondiale delle navi da crociera”. Sarebbe davvero scandaloso se ciò accadesse, se un attore europeo avesse un rilievo mondiale! Inaccettabile!

Nel 1967, in un best-seller ormai dimenticato, Jean-Jacques Servan-Schreiber scriveva: “Nessun’altra politica se non quella consistente nel rinforzare i punti forti – che la demagogia condanna con il termine globale e vago di ‘monopoli’ – ci permetterà di sfuggire a un relativo sottosviluppo”. La lettura del libro di Servan-Schreiber è consigliata da Peter Thiel, nel suo elogio dei monopoli dell’innovazione degli Stati Uniti.

Mentre gli attori globali che contano perseguono disegni industriali e tecnologici, all’Europa è rimasta una lotta alla concentrazione à la carte, come camera di compensazione tra Stati concentrati sulle proprie passioni tristi.

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