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Perché Draghi sbaglia sui giovani vaccinati

Nella conferenza stampa di Draghi c'è stata qualche approssimazione di troppo su vaccinati e non solo. Il commento di Federico Punzi

 

Credevamo di averle viste e sentite tutte dal precedente governo, non potevamo immaginare da Mario Draghi, il “Competente” per eccellenza, il livello di approssimazione ed elusione di ieri, in conferenza stampa, su un tema così centrale nell’agenda del suo governo, e per le sorti del Paese, come la campagna vaccinale.

È stato davvero sconsolante vedere Draghi fare confusione, mostrare di non conoscere nemmeno i suoi stessi decreti.

“Uno può banalizzare e dire: smettetela di vaccinare chi ha meno di 60 anni, i giovani o ragazzi, psicologi di 35 anni. Queste platee di operatori sanitari che si allargano. Con che coscienza un giovane salta la lista e si fa vaccinare?”.

Peccato che sia stato proprio il premier, non molti giorni fa, a firmare il decreto che impone l’obbligo di vaccinazione agli operatori sanitari, compreso lo psicologo trentacinquenne. Ed è sempre il suo decreto che allarga a dismisura la platea degli “operatori sanitari” ben oltre la “prima linea” (articolo 4).

Draghi mostra di non sapere nemmeno cosa ha firmato e l’ordine degli psicologi ha buon gioco a ridicolizzarlo: “Forse è il caso che il Governo informi sé stesso”, dichiara in una nota il presidente David Lazzari, ricordando al premier che “nessuno di noi ha chiesto di avere priorità, è stato il Governo a decidere le priorità vaccinali, ed in queste sono state incluse tutte le professioni sanitarie… addirittura l’ultimo decreto trasforma la facoltà in obbligo, esteso a tutti gli iscritti agli ordini sanitari”.

Ma c’è di più, perché con questa frase il premier mostra di ignorare che da mesi, oltre ai sanitari, molte altre categorie sono indicate come prioritarie, a prescindere dall’età, nelle “raccomandazioni” del ministero della Salute (guidato dallo stesso Roberto Speranza che Draghi ha rivendicato di aver voluto ministro e di stimare).

Appartenenti alle forze dell’ordine, insegnanti, docenti universitari. Milioni di persone che legittimamente si sono prenotate. Non hanno “saltato la fila”, sono state messe in lista dalle autorità competenti, perfettamente a conoscenza di tutti i loro dati anagrafici. Se la lista viene compilata secondo criteri e priorità sbagliate, la colpa è di chi quei criteri e quelle priorità li ha indicati. Una catena di responsabilità che dal Ministero della salute risale fino a Palazzo Chigi.

Draghi se lo faccia spiegare dai suoi consiglieri e ministri: oltre allo psicologo trentacinquenne, hanno ricevuto le loro prime, e a volte seconde dosi, anche l’insegnante cinquantenne e il dottorando non ancora trentenne, così come docenti in smartworking, e persino gli amministrativi di ospedali e università (non certo in prima linea). Chiamati a vaccinarsi dai loro datori di lavoro, avrebbero forse dovuto rifiutarsi? Giusto o sbagliato, non c’è stata alcuna prevaricazione. Né si possono attribuire tutte le responsabilità alle Regioni, che non hanno fatto altro che seguire le linee guida nazionali. E quand’anche non stessero rispettando le nuove linee guida, a chi spetta richiamarle all’ordine?

Questa apertura alle categorie, in deroga alle priorità per anzianità, ha ritardato notevolmente la vaccinazione delle fasce di età più a rischio, over-80 e settantenni. Ma il presidente Draghi a tutt’oggi sembra ignorarne la causa.

Già due settimane fa, parlando alle Camere, il premier aveva provato a scaricare il barile sulle regioni: “Mentre alcune Regioni seguono le disposizioni del Ministero della salute, altre trascurano i loro anziani in favore di gruppi che vantano priorità probabilmente in base a qualche loro forza contrattuale”.

Ma come abbiamo già segnalato su Atlantico Quotidiano, l’errore strategico è stato commesso a monte e a livello centrale. Quando, il 30 gennaio scorso, l’Aifa ha autorizzato il vaccino AstraZeneca, l’ha sconsigliato per gli over-55 (soglia poi alzata a 65). Che ci facciamo, dunque, con le dosi AZ? Iniziamo a vaccinare per categorie, a prescindere dall’età. Da quel momento il piano vaccinale italiano è diventato duale, cioè ha seguito un doppio binario: over-70 vaccinati con Pfizer Moderna, mentre si è cominciato a utilizzare le dosi di AstraZeneca per categorie ritenute “strategiche”. Di conseguenza, l’Italia è passata molto presto a vaccinare insegnanti, magistrati, avvocati, personale amministrativo ospedaliero e altri dipendenti pubblici, quando era ben lontana dal completare la vaccinazione di ottantenni e settantenni.

“Oggi – dichiarava il 9 febbraio lo stimato ministro Speranza – in tutte le Regioni italiane arrivano le prime dosi del vaccino AstraZeneca. Saranno somministrate alla popolazione tra i 18 e i 55 anni. Potremo iniziare a proteggere chi lavora nelle scuole, nelle università, le forze dell’ordine e le altre categorie esposte”.

Un errore indotto dall’Aifa ma avallato acriticamente dal governo nazionale, prima Conte poi Draghi (fino a pochi giorni fa), perché Aifa aveva “suggerito un utilizzo preferenziale” di AstraZeneca in soggetti tra i 18 e i 55 anni, non escluso le fasce di età più anziane. Avrebbe dovuto essere chiaro fin dall’inizio che se non si fosse utilizzato AstraZeneca per i più anziani, lo squilibrio sarebbe stato automatico, inevitabile.

Quando è balzato agli occhi il ritardo accumulato, è venuto meno il limite all’uso di AstraZeneca per gli over-65. “Ora si vaccini solo per età”, intimava il nuovo capo della Protezione civile Fabrizio Curcio un paio di settimane fa. Ma subito si è posto il problema di cosa fare con gli appartenenti alle categorie che nel frattempo stavano ricevendo le dosi a prescindere dall’età. Lasciarle a metà, coperte solo parzialmente? Per non creare ulteriori ingiustizie, si è deciso di completare la vaccinazione di quelle categorie, quindi non c’è stata una reale svolta.

E questo ci porta alla seconda frase sconfortante di Draghi:

“È venuto il momento di prendere decisioni sulle fasce di età per le vaccinazioni. Se riduciamo il rischio di morte nelle classi più esposte al rischio, è chiaro che si riapre con più tranquillità. La disponibilità di vaccini c’è. Si tratta di fare delle scelte”.

Quindi, siamo entrati nel quarto mese di campagna vaccinale e Draghi ci sta dicendo che “è venuto il momento…”? Ora? Non era già stata presa una decisione in tal senso? Evidentemente, se il premier avverte la necessità di ribadirlo, è perché ancora non c’è stato alcun apprezzabile cambio di rotta. La volontà del premier, e del commissario Figliuolo, di dare priorità alle fasce di età più a rischio non si è ancora concretizzata in norme e linee guida coerenti con il nuovo obiettivo.

(Estratto di un articolo pubblicato su atlanticoquotidiano.it)

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