Il troppo notoriamente stroppia. Già infastidito dal tentativo di coinvolgerlo nella campagna contro la linea del governo sulla giustizia attribuendogli riserve sugli emendamenti predisposti dalla guardasigilli alla riforma del processo penale, il capo dello Stato ha impedito la solita, ennesima invasione di campo del Consiglio Superiore della Magistratura, di cui è presidente.
Come Francesco Cossiga negli ormai lontani anni Ottanta impedì all’organo di autogoverno della magistratura di processare a suo modo il presidente del Consiglio Bettino Craxi, difendendone il rapporto diretto ed esclusivo col Parlamento che gli aveva accordato la fiducia, così questa volta Mattarella ha impedito un processo surrettizio alla ministra della Giustizia Marta Cartabia. Sui cui emendamenti alla riforma del processo penale, protetti da una prenotazione del ricorso alla cosiddetta questione di fiducia, la sesta commissione del Consiglio Superiore aveva votato una bocciatura da ratificare nel plenum. Ciò avrebbe quanto meno rafforzato nella trattativa in corso nella Commissione Giustizia della Camera quella parte dei grillini più contraria alla posizione assunta peraltro all’unanimità dal Consiglio dei Ministri.
Per nulla distratto dalla festa dei suoi 80 anni, Mattarella ha disposto che l’argomento arrivi al plenum del Consiglio Superiore solo quando il testo della riforma del processo penale sarà ben definito per il passaggio nell’aula di Montecitorio. Contemporaneamente la ministra Cartabia, non lasciandosi scappare l’occasione offertale dal congresso forense di cui era ospite, ha respinto con fermezza gli argomenti dei suoi critici ricordando che la durata eccessiva dei processi in Italia si trascina da troppo tempo e ci ha riservato il non onorevole primato delle condanne del competente organismo europeo: 1202 contro le 608 della Turchia.
Naturalmente la coincidenza degli interventi a gamba tesa del presidente della Repubblica e della guardasigilli ha prodotto il solito fotomontaggio polemico del giornale più impegnato, con l’ala dura del MoVimento 5 Stelle, nella campagna a favore della prescrizione ormai finta dell’ex ministro Alfonso Bonafede, che si blocca al primo grado di giudizio, e il vistoso titolo “Cartabia e Quirinale imbavagliano il Csm”. In un editoriale intitolato “Pronti a tutto” il direttore Marco Travaglio ha reclamato il solito referendum digitale fra i grillini, che già ne debbono affrontare altri sulla riforma dello statuto e sulla leadership di Giuseppe Conte, per evitare la presunta resa all’altrettanto presunta “restaurazione” perseguita dal governo Draghi. Da cui quindi i pentastellati dovrebbero quanto meno uscire, come ha abbozzato per qualche ora anche la ministra Fabiana Dadone, prima di ridimensionare una sua minacciosa dichiarazione, sembra anche su intervento dello stesso Conte, e di ricordarsi di avere votato con i suoi colleghi di movimento in Consiglio dei Ministri a favore degli emendamenti proposti dal governo alla riforma del processo penale per assegnare non più di tre anni al passaggio in appello e diciotto mesi in Cassazione, pena la “improcedibilità”.
Naturalmente la furia iconoclastica del Fatto Quotidiano è pari a quella di segno opposto di giornali come Il Riformista –“Mattarella frena il golpe del Csm”- o di vignettisti come Stefano Rolli, sul Secolo XIX, che con un siringone fa praticare da Draghi a Conte una vaccinazione indolore sotto l’insegna della giustizia, con un siringone a misura, diciamo così, di cavallo.