In attesa di capire, all’incirca fra un anno, il costo per il pubblico, e non solo per i Benetton, dell’operazione innescata dal governo per il ritorno dello Stato nella gestione delle autostrade, cerchiamo di capire un po’ prima dell’anno prossimo, vista la scadenza più vicina, come potrà finire la partita del cosiddetto fondo europeo salva-Stati, rimasta aperta nel governo e nella maggioranza giallorossa. Dove Pd e renziani, in sintonia con l’opposizione berlusconiana, vogliono usare i finanziamenti comunitari a disposizione per il potenziamento del sistema sanitario, messo a dura prova dall’epidemia virale. Ma i grillini sono contrari, nonostante certe aperture sottintese nelle dichiarazioni e nei comportamenti del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ritrovandosi d’accordo invece con gli ex alleati leghisti e con la destra di Giorgia Meloni.
Per una volta, dopo tante fughe coperte dalla farisaica distinzione tra informazioni e comunicazioni del governo, si è riusciti a votare tanto alla Camera quanto al Senato in vista di un Consiglio Europeo, su cui c’è stata anche la consueta consultazione al Quirinale fra il governo e il presidente della Repubblica.
Accantonato ancora una volta il problema del fondo salva-Stati volendo o fingendo di dare la precedenza alla soluzione del negoziato in corso sul fondo europeo molto più grande per la ricostruzione, noto come “Recovery fund” o “next generation”, la maggioranza ha potuto confezionarsi e approvare un documento approvato alla Camera con 286 voti favorevoli e 227 contrari, al Senato con 157 sì e 130 no.
Tutto bene, allora, come ha mostrato di credere il presidente del Consiglio incontrando poi il capo dello Stato? Per niente. Grazie al ritorno al voto parlamentare, voluto soprattutto dalla presidente del Senato protestando nei giorni scorsi contro la pretesa del governo di giocare tra informazioni e comunicazioni per fare dei senatori e dei deputati “gli invisibili ormai della Costituzione”, si è potuto votare anche su documenti diversi da quelli dalla maggioranza. E l’occasione è stata colta al volo dal partito di Renzi per votare anche la mozione, battuta, della senatrice radicale e fortemente europeista Emma Bonino a favore dell’uso del fondo salva-Stati.
Ciò significa che almeno al Senato, quando il nodo dei crediti europei per il sistema sanitario verrà al pettine, una volta chiusa la partita del “Recovery fund”, prevedibilmente già entro questo mese, o i grillini si rassegneranno al sì o la maggioranza non ci sarà più. Nel frattempo si saranno aggrovigliati altri nodi economici, sociali e politici come la preparazione del bilancio, o legge cosiddetta di stabilità finanziaria, la crisi occupazionale, la riforma della giustizia riferita sia al processo, e al meccanismo della prescrizione che dallo scorso mese di gennaio finisce col primo grado di giudizio, sia all’elezione e al funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura. Che, per quanto abbia appena nominato il nuovo primo presidente della Cassazione e la sua aggiunta, rimane devastato dall’esplosione del mercato correntizio delle nomine e carriere emerso dalle intercettazioni di Luca Palamara, già espulso dal sindacato delle toghe da lui presieduto negli anni passati e ora sotto processo giudiziario a Perugia, e disciplinare nel Consiglio Superiore. È una vicenda che il governo sta esorcizzando voltando lo sguardo altrove ma prima o poi diventerà stringente per le scelte legislative che dovranno essere compiute.