Ma come? Non stavamo, anzi non stiamo rischiando di compromettere con la riforma del premierato proposta dal governo di Giorgia Meloni il ruolo prezioso, persino sacrale, del presidente della Repubblica svolto meritoriamente da Sergio Mattarella? Che, eletto dal Parlamento in seduta congiunta con le modalità sancite dall’articolo 83 della Costituzione, potrebbe essere ridotto ad una comparsa di fronte ad un presidente del Consiglio eletto direttamente dai cittadini. Non servirà anche a difendere Mattarella la manifestazione annunciata dalla segretaria del Pd Elly Schlein per il 2 giugno, festa della Repubblica, contro la “capocrazia”, come l’ha definita il costituzionalista Michele Ainis, insita nel premierato che la Meloni si è proposta di somministrare agli italiani come l’olio di ricino dei fascisti cento anni fa?
COSA HA SCRITTO TRAVAGLIO SUL PREMIERATO
Già l’insospettabile Marco Travaglio, a dire la verità, dovendogli essere riconosciuto ciò che merita, sia pure di rado, ha avuto qualcosa da ridire, e da scrivere, sulla piazza mobilitata dalla Schlein per opporre anche i corpi, oltre che le parole, ai liberticidi progetti attribuiti alla Meloni. “A parte il fatto che l’aveva già proposta l’Ulivo nella Bicamerale del 1997, l’elezione diretta del premier non ripristina la Monarchia né altera la forma repubblicana dello Stato”, ha fatto osservare venerdì 10 maggio il direttore del Fatto Quotidiano, che spero sia stato letto con la solita attenzione anche dall’ex presidente del Consiglio e ora presidente solo delle 5 Stelle grilline Giuseppe Conte, contrarissimo alla riforma all’esame del Senato.
LA CONTESTAZIONE A ROCCELLA
Ma un colpo al ruolo così meritoriamente svolto, ripeto, e rivendicato per il presidente felicemente in carica con il lungo mandato rinnovatogli poco più di due anni fa è stato dato da alcuni eccellenti estimatori, fra i quali il mio amico Paolo Mieli, condividendo in modo alquanto contraddittorio, direi paradossale, la solidarietà espressa doppiamente, con una telefonata e un comunicato del Quirinale, alla ministra della famiglia Eugenia Roccella. Che, sospettata di volere ostacolare l’aborto, era stata appena contestata da una trentina di studenti in un convegno sulla natalità con cartelli e grida prevaricatrici.
A sentire Mieli e Andrea Scanzi, del Fatto Quotidiano, nel salotto televisivo di Lilli Gruber, a leggere il manifesto, e ad andare appresso alle dichiarazioni del “verde” Angelo Bonelli e di alcuni esponenti del Pd, Mattarella si sarebbe lasciato prendere un po’ troppo la mano, il cuore, l’emozione difendendo la ministra con lo scudo della Costituzione. Eugenia Roccella sarebbe stata intempestiva, anzi intollerante nella reazione ai contestatori armati solo di parole e di cartelli.
La ministra avrebbe dovuto pazientare ancora, dopo le due ore attese per cercare di prendere la parola, e mettersi seduta o restare in piedi ad aspettare che la contestazione finisse per stanchezza. Invece lei, furbissima come la premier che le sarebbe andata dietro con una protesta da Palazzo Chigi, avrebbe colto la palla al volo per praticare il solito “vittimismo”, particolarmente utile in questa campagna elettorale in corso per il voto europeo dell’8 e 9 giugno.
Se quello della Roccella e della Meloni è stato un calcolo, secondo questo tipo di lettura dell’accaduto, quello di Mattarella, non volendogli dare del complice, dev’essere stato quanto meno un errore di ingenuità commesso nell’esercizio delle sue funzioni. Un presidente un po’ svanito, direbbe un critico irrispettoso e per niente convinto, per esempio, neppure degli insistenti interventi di Mattarella a favore dell’Ucraina e contro la Russia di Putin che l’ha invasa. Roba quasi da vilipendio del capo dello Stato previsto dall’articolo 278 del codice penale, per il quale “chiunque offende l’onore o il prestigio del presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
Non vorrei dover portare le solite, abusate arance al mio amico Mieli finito imprudentemente, alla sua età, e col suo ricchissimo curriculum professionale, in qualche carcere già sovraffollato del nostro sempre più imprevedibile e paradossale paese, con la minuscola, senza scomodare la Nazione preferita dalla premier ancora sprovvista di elezione diretta.