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Giorgetti

Perché il Pd non può festeggiare troppo dopo le comunali

Il centrodestra dopo le elezioni a Roma e Torino dovrà fare i conti con il rafforzamento di una sinistra che tuttavia dovrebbe anch’essa riflettere sulla crescente crisi di rappresentatività. I Graffi di Damato

 

Non per essere irriverenti, ma quel “tutto è compiuto” di Gesù Cristo sulla croce può ben essere ripetuto dal centrodestra di fronte ai risultati dei ballottaggi a Roma e a Torino. Dove la coalizione a trazione non più berlusconiana ha raccolto ciò che ha seminato con candidature deboli e ancor più ha rovinato con una campagna elettorale che peggio non poteva essere condotta fra il primo e il secondo turno di queste amministrative del 2021. Quella di di Trieste, dove è stato confermato faticosamente il sindaco uscente di centrodestra, rimane una magra consolazione.

A dispetto della convinzione maturata da Alessandra Ghisleri che i disordini del 9 ottobre a Roma – con l’assalto dei forzanovisti alla sede nazionale della Cgil e tutte le esitazioni e contraddizioni delle reazioni dei leghisti e dei fratelli d’Italia di Giorgia Meloni- non fossero destinati a influire sul ballottaggio capitolino, penso che un peso l’abbiano avuto eccome.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso dell’indifferenza, tradottasi nel record dell’astensionismo, è stata a mio avviso la restituzione della storica piazza romana di San Giovanni alla sinistra. Il centrodestra, che era riuscito a strappargliela negli anni scorsi, avrebbe ben potuto unirsi con convinzione e decoro alla solidarietà che la Cgil meritava. Ma alla quale persino Silvio Berlusconi, dopo avere cominciato a mettere il trattino fra il centro e la destra, ha ritenuto che potesse bastare e avanzare una telefonata.

Ora il centrodestra dovrà fare i conti con l’obiettivo rafforzamento di una sinistra che tuttavia dovrebbe anch’essa riflettere sulla crescente crisi di rappresentatività. E’ stata una vittoria, certamente, ma non il “trionfo” addirittura vantato dal segretario del Pd Enrico Letta, giù dimentico di essere stato eletto a Siena il 4 ottobre con un’affluenza alle urne ben al di sotto del pur spaventoso 40 per cento o poco più dei romani andati a votare per scegliere il sindaco.

Cessata la sbornia del segretario piddino, la sinistra al governo dovrà subito fare i conti con la realtà alla quale il presidente del Consiglio Mario Draghi, fortunatamente estraneo alla competizione appena conclusasi, la richiamerà con le scadenze finanziarie e il fitto calendario delle riforme collegate al piano della ripresa finanziato dall’Unione Europea. Non parliamo poi dei guai dei grillini destinati a ripercuotersi su chi li insegue come alleati.

Purtroppo non si può dire che, chiuso questo capitolo elettorale, a parte la scadenza istituzionale di febbraio, quando il Parlamento dovrà sciogliere il nodo del Quirinale per la scadenza del mandato di Sergio Mattarella, la politica potrà darsi una tregua. No. Matteo Salvini, risconfitto anche a Varese, si è già prenotato per la campagna elettorale delle amministrative dell’anno prossimo. Ma il 2022, anche se si dovesse evitare lo scioglimento anticipato da molti immaginato dietro l’angolo, sarà pur sempre l’ultimo anno della legislatura: in quanto tale il più difficile di tutti, in cui quello che l’economia e mancato presidente del Consiglio Carlo Cottarelli ha appena definito “l’assalto alla diligenza” della spesa. Ci sarà poco da stare allegri.

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