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Giorgetti

Guerra fra Papi

Cosa succede tra Papa Francesco e il Patriarica di Mosca Kirill. I Graffi di Damato.

 

Si è dunque chiuso rapidamente lo spiraglio aperto dall’ambasciatore russo presso il Vaticano, Alexandr Avdev, sulla proposta di Papa Francesco di un incontro al Cremlino con Putin per cercare di fermare la guerra in Ucraina. Qualcuno dal Ministero russo degli Esteri si era dimenticato di avvertire l’ambasciatore del peso che ha su Putin il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill, Cirillo per noi italiani. Che è favorevolissimo a quella guerra e ora per giunta è a rischio di sanzioni da parte dell’Unione Europea per le sue enormi ricchezze. Il “fratello” Cirillo, come ha continuato a chiamarlo il Papa nella recente intervista al Corriere della Sera in cui ha rivelato anche una polemica telefonata intercorsa fra di loro proprio sulla guerra in Ucraina, deve avere posto un veto cui Putin non ha potuto sottrarsi, se mai ha avuto davvero la tentazione di un incontro col vescovo e Papa di Roma.

La guerra insomma si è estesa. Ora, pur disarmati, sono in guerra anche i due Papi. I loro rapporti sono diventati sarcastici. Li ha ben rappresentati una gustosa vignetta di prima pagina del Foglio, a colori, in cui un Francesco un po’ malmesso, coi sandali da frate ai piedi, impreca contro “le ville e i miliardi” di un Cirillo ormai meno fratello dei tempi in cui si incontravano e si scambiavano promesse di familiarità ecumenica.

Naturalmente le interferenze religiose, con quei 150 milioni di fedeli che Cirillo ritiene di avere conservato nonostante gli insulti di Putin da lui condivisi agli ucraini, considerati in buona parte nazisti e pederasti, aggravano le prospettive della guerra. Non a caso gli assalti a quel che resta delle acciaierie di Mariupol, dove sono asserragliati combattenti ucraini irriducibili, sono ripresi ancora più forti dopo che Putin aveva pubblicamente ordinato al suo ministro della Difesa di rinunciarvi per risparmiare vittime russe, lasciando i nemici senz’aria, come in una tomba. Non una mosca -aveva appunto detto- deve più volare in quei sotterranei.

Più dura e addirittura si aggrava la guerra in Ucraina e più crescono in Italia le difficoltà del governo e della maggioranza, insidiati dalla convergenza contro più sostanziosi aiuti militari al Paese aggredito dalla Russia fra Giuseppe Conte e Matteo Salvini, pur separatisi così clamorosamente nell’estate del 2019, quando erano rispettivamente presidente del Consiglio e vice presidente e ministro dell’Interno.

Alla volontà ribadita da Draghi davanti al Parlamento europeo di proseguire negli aiuti militari all’Ucraina, e ad altro che non è piaciuto ai grillini in materia economica, Conte ha reagito chiedendo pubblicamente se non vi è l’intenzione dello stesso Draghi, e di altre parti della maggioranza, di spingere i pentastellati fuori dal governo. Dove in ogni caso si può sospettare che ben difficilmente il ministro degli Esteri Luigi Di Maio si dimetterebbe per adeguarsi ad una crisi ordinata da Conte per reazione a qualche decisione o scelta “provocatoria” di Draghi.

Non è per niente forzato il titolo del Riformista sulla situazione della maggiorana e del governo: “Una sola cosa Conte non sopporta: Draghi”. Piuttosto, esso è incompleto. Manca di aggiungere che l’intolleranza è ormai reciproca. Neppure Draghi sembra più sopportare il suo predecessore, per quanto possa essere forse imbarazzato, almeno nelle apparenze, Enrico Letta come segretario del secondo partito della maggioranza per consistenza parlamentare: il Pd.

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