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Open Arms. La politica estera e dell’immigrazione la stabilisce il Tar del Lazio?

Il salvataggio ad opera della Open Arms non è avvenuto a seguito di un incontro casuale, con un’imbarcazione in difficoltà. Si tratta, invece, di un’attività programmatica che, di fatto, contribuisce ad alimentare il traffico di migranti. Critica ragionata del decreto del Tar del Lazio

 

Speriamo che il Consiglio di Stato, al quale il ministro dell’Interno, Matteo Salvini, si è rivolto possa correggere quanto prima lo sconcertante decreto del Tar del Lazio, che ha accolto le richieste dell’Open Arms per lo sbarco in Italia dei migranti raccolti, come scritto nello stesso decreto, “in area SAR libica”. Non sono in discussione i valori umanitari, che hanno ispirato il provvedimento. Ma è questo il compito di un giudice?

Sono passati quasi trecento anni da quando Montesquieu scriveva: “Les juges de la nation ne sont que la bouche qui prononce les paroles de la loi”, marcando quella separazione tra la morale è tutte le altre scienze sociali: dal diritto all’economia. Non abbiamo ritrovato questa distinzione fondamentale nelle motivazioni del decreto. In esso si accenna, genericamente, “alle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso”, all’indubbia situazione di “distress” dell’imbarcazione. Ma si prescinde completamente da quelle Convenzioni internazionali che ne regolano l’effettiva applicazione.

La prima osservazione è che il salvataggio non è avvenuto a seguito di un incontro casuale, con un’imbarcazione in difficoltà. Si tratta, invece, di un’attività programmatica che, di fatto, contribuisce ad alimentare il traffico di migranti. Quelle stesse leggi del mare, cui accenna il decreto, obbligano il conducente l’imbarcazione a prendere il largo solo in condizioni di assoluta sicurezza. Ci troviamo, invece, di fronte a piccoli gommoni, carichi fino all’inverosimile di migranti, forniti di piccoli motori, che possono navigare solo per poche miglia. La distanza minima che separa il luogo d’imbarco dall’incontro, più o meno programmato, con le navi delle ONG. Alle quali, per le contraddizioni interne alla maggioranza giallo verde, di fatto, viene delegata la politica migratoria dello Stato.

Se il decreto non dovesse essere rivisto dal Consiglio di Stato, sarebbe la ciliegina sulla torta. Il via libero definitivo a favore di un’attività – quella del trasporto dei migranti – i cui lati oscuri (a dir poco) sono pure così evidenti. Si aprirebbero, in qualche modo, vere e proprie autostrade, dando licenza alle Ong di contribuire ad organizzare nubifragi “programmati” in tutto il Mediterraneo, per poi portarli in Italia. Considerata, a giudizio esclusivo degli stessi comandanti delle navi salvatrici, unico porto sicuro dell’intero bacino.

Questo è un altro paradosso. Gli accordi internazionali hanno suddiviso il Mediterraneo in diverse zone SAR (zona di ricerca e soccorso), attribuendone la responsabilità ai diversi Stati. Rispetto all’Italia, la sua zona di competenza è a ridosso delle sue acque territoriali. Guardando verso la Libia – luogo di partenza della maggior parte dei migranti che attendono le navi delle ONG – a ridosso della sua zona di competenza, spetta a Malta fornire la necessaria assistenza. Quella italiana inizia molte miglia dopo. Se questo è lo schema, non si capisce perché il salvataggio, avvenuto in zona SAR libica, non debba avere come punto di riferimento Malta (zona di prossimità) ma concludersi in Italia. Divenuta ormai la “terra promessa” di migliaia di disperati.

I successivi interventi del ministro Elisabetta Trenta e dello stesso presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che si sono fatti forti del decreto del Tar del Lazio, per contestare la reazione di Matteo Salvini, sono solo il triste epilogo di un governo che non esiste più. Espressioni di una crisi che si cerca di risolvere con alchimie parlamentari, che di nuovo ripropone il dramma della spaccatura tra “Paese legale” e “Paese reale”. Purtroppo non è la prima volta che accade. E in passato le conseguenze sono state sempre drammatiche.

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