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Operazione Sophia

Perché non basterà una nuova Operazione Sophia

L'aggravarsi della crisi migratoria che coinvolge in pieno l’Italia non è una emergenza temporanea, ma una crisi che si aggiunge alle minacce ibride e le vulnerabilità multi-dimensionali che rendono necessario innovare la governance e l’architettura istituzionale della sicurezza e Difesa nazionale, adeguando le capacità di intelligence in ogni sua componente cibernetica. L'analisi di Francesco D'Arrigo, direttore dell'Istituto Italiano di Studi Strategici "Niccolò Machiavelli"

 

Da qualche decennio ormai la tratta degli esseri umani (trafficking in human beings) ed il traffico di migranti (smuggling of migrants) sono al centro della propaganda politica nazionale. Il Mediterraneo rappresenta una delle principali vie d’ingresso irregolare in Europa per la quasi totalità dei migranti provenienti dal Nord Africa ed ultimamente anche da altri Stati in crisi dell’Est e del Centro Africa, in direzione delle coste italiane, organizzati da network criminali senza scrupoli, da State e non State actors, che per far attraversare il Mediterraneo utilizzano imbarcazioni inadatte alla navigazione, incuranti del rischio a cui espongono le vite dei migranti che a loro si affidano per una pericolosa e spesso mortale traversata.

Nel frattempo, i flussi migratori verso l’Italia e l’Europa sono aumentati anche a causa di altri fattori, quali l’invasione russa dell’Ucraina, le catastrofi naturali (alluvione in Libia, terremoto in Marocco), il cambiamento climatico, le crisi economiche ed i molteplici recenti colpi di Stato in Africa.

La dimensione transnazionale di questi eventi sta mettendo a dura prova il Governo italiano ed i cittadini di alcune specifiche aeree del mezzogiorno, in primis l’isola siciliana di Lampedusa, la Sicilia ed il Nord-Est del Paese.

Una situazione che mette continuamente sotto stress gli enti, civili e militari, e le Agenzie cui spetta il compito di coordinare le operazioni di soccorso marittimo nella vasta zona SAR (Search and Rescue) di competenza italiana e la responsabilità primaria di vigilare sulle proprie frontiere marittime per impedire l’ingresso irregolare di cittadini di Paesi terzi nell’Unione, garantendo al tempo stesso condizioni di accoglienza adeguate per coloro che intendano chiedere protezione internazionale.

Tuttavia, nemmeno di fronte a tali sconvolgimenti geopolitici, all’intensificarsi dell’attività delle organizzazioni transnazionali dedite al traffico di migranti e alla tratta di persone lungo la rotta mediterranea, hanno fatto emergere dai vari Governi che si sono succeduti, la capacità di elaborare una strategia idonea ad affrontare questi fenomeni, che rappresentano gravi minacce alla sicurezza nazionale.

Dopo averle fermate, ora il Governo italiano chiede nuovamente il supporto di operazioni navali europee nel Mediterraneo.

Dopo l’operazione Mare Nostrum, lanciata nel 2013 “per fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in corso nello Stretto di Sicilia, dovuto all’eccezionale afflusso di migranti” (durata un anno), a seguito delle molteplici richieste all’UE da parte dei Governi italiani, nel 2014 l’Agenzia europea Frontex varò l’operazione congiunta Triton, che vide la partecipazione di 27 Paesi membri, 3 Paesi terzi e 9 agenzie ed organismi internazionali, con il compito di assistere l’Italia nelle operazioni di Ricerca e Soccorso e di pattugliamento del bacino mediterraneo per prevenire gli ingressi di immigrati irregolari.

Il concreto impegno dell’Europa aumentò nel luglio 2015, quando il piano operativo della missione fu ulteriormente rafforzato, coinvolgendo l’European Union Naval Force in the South Central Mediterranean, (EUNAVFOR) con l’avvio della Med-operation SOPHIA, la prima missione militare di sicurezza marittima europea nel mediterraneo centrale, che estendeva l’area delle operazioni di Triton, includendo nel mandato l’esercizio di funzioni di polizia per la repressione della tratta di persone e dei traffici illegali, soprattutto di esseri umani.

L’efficacia delle missioni navali, siano esse italiane che europee, per la prevenzione e repressione del trafficking e dello smuggling nel Mediterraneo dipende soprattutto dalla capacità di esercitare poteri di polizia nelle zone di mare dove esse operano, di ispezione e sequestro delle imbarcazioni adibite al trasporto di migranti irregolari, ed eventualmente di arrestare i presunti trafficanti. L’esercizio di poteri coercitivi in mare è regolato da diverse Convenzioni tra cui quella di Montego Bay, in larga misura applicata dalle missioni europee perché coerente con le regole di diritto internazionale generale. Norme che attribuiscono allo Stato di bandiera della nave la giurisdizione esclusiva quando questa si trova in acque internazionali. Tuttavia, i trafficanti che operano nel Mediterraneo utilizzano piccole imbarcazioni non registrate (senza bandiera), ed ove fossero sospettate di trasportare migranti irregolari possono essere sottoposte a misure coercitive in base al Protocollo di Palermo sul traffico di migranti.

Le missioni navali europee, Triton e Sophia, hanno contribuito in modo significativo alle operazioni SAR ed a contenere il numero delle vittime dei naufragi, ma sono state prima sospese di fatto nel 2018, per poi essere definitivamente soppresse dal Governo giallo-verde Conte I.

Lo stop all’operazione Sophia era stato fortemente voluto dall’allora ministro degli Interni e vice premier, Matteo Salvini. Il leader leghista aveva rivendicato la soppressione della missione come una vittoria politica, dato che Sophia era stata accusata di favorire gli sbarchi di migranti in Italia, anziché contrastarli. In pratica la missione europea Sophia veniva descritta come una sorta di complotto dei poteri forti per alimentare l’invasione di migranti in Italia, equiparando le navi militari ad alcune Ong che non rispettavano le leggi italiane, accusate di rappresentare un “pull factor”, ossia di costituire un fattore di attrazione per i trafficanti di esseri umani.

La missione Sophia è stata soppressa proprio quando iniziava a perseguire con efficacia il suo obiettivo primario: la prevenzione dell’immigrazione irregolare e il contrasto alla tratta di persone, ai traffici di droga ed armi.

L’operazione Sophia è stato il primo esempio di elevata integrazione tra le Agenzie di intelligence e tra le componenti delle Forze di sicurezza militari e civili europee, capace di operare in un complesso scenario internazionale rappresentato da numerosissimi enti governativi e non governativi, militari e civili, che per contrastare e reprimere i trafficanti di esseri umani avevano schierato tecnologie di intelligence e sofisticate attrezzature SIGINT di nuova generazione dell’Europol, con la finalità principale di contrastare le organizzazioni criminali che gestiscono i lucrosi traffici dei migranti, degli stupefacenti e delle armi.

Dopo lo stop di tutte le missioni navali, gli ingressi irregolari ed i traffici illeciti in Europa attraverso le rotte del Mediterraneo sono costantemente aumentati nel tempo, anche a causa dei limiti imposti dalle norme di diritto internazionale all’esercizio extraterritoriale di poteri di polizia nazionali. In alto mare, le missioni europee avevano ottenuto la parziale deroga del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che autorizzava la unità navali che partecipavano alla missione Sophia ad ispezionare, sequestrare e distruggere qualsiasi imbarcazione straniera intercettata e sospettata di attività illecite, anche senza il consenso dello Stato di bandiera.

Come fronteggiare le minacce strategiche del dominio marittimo

Oggi il contesto geopolitico nel Mediterraneo allargato è molto più preoccupante e rischioso a causa della guerra russa nel cuore dell’Europa, per le tensioni tra Cina e Occidente, oltre che per le costanti minacce di natura terroristica.

La situazione in prossimità delle acque territoriali, dove l’esercizio di poteri di polizia a bordo della nave non è appannaggio esclusivo dello Stato di bandiera della nave, consente allo Stato costiero di adottare misure coercitive nei confronti di imbarcazioni sospette che si trovino nelle sue acque territoriali e nella sua zona contigua, a determinate condizioni, anche senza il previo consenso dello Stato di bandiera.

La “enforcement jurisdiction” dello Stato costiero può estendersi anche a fatti commessi a bordo di una nave straniera, se suscettibili di ledere le prerogative che il diritto internazionale gli riconosce, rispettivamente, nella zona economica esclusiva, nella zona contigua e nel mare territoriale. In tale area, che può estendersi fino a 24 miglia marine dalla linea di base del mare territoriale, lo Stato costiero può adottare misure coercitive nei confronti di navi battenti bandiera straniera nella misura necessaria a prevenire o punire eventuali violazioni delle proprie norme sull’immigrazione commesse nel mare territoriale o sul proprio territorio.

Tuttavia, a differenza di altri Stati mediterranei, l’Italia non ha mai formalmente istituito una propria zona contigua, per cui non è nemmeno chiaro quale sia l’esatta delimitazione della zona contigua italiana e di conseguenza la possibilità di esercizio dei suddetti poteri di polizia da parte delle autorità italiane.

Come abbiamo già avuto modo di esprimere in diverse occasioni, anche su Startmag, la nostra politica di sicurezza marittima così com’è stata concepita fino ad oggi non è più adeguata, perché non può garantire la protezione della nazione dalle minacce ibride che determinano una tipologia di rischi e potenziali conflitti senza regole e limiti, che estendono le loro conseguenze alle reti, alle infrastrutture ed alle popolazioni civili. Dunque l’esigenza di evolvere verso un nuovo “paradigma della sicurezza”, di fatto sempre più connesso con lo “sviluppo tecnologico” e con l’ampliamento di strumenti dissuasivi che toccano anche ambiti inerenti alla strategia militare generale ed al concetto di Difesa militare.

I progressi della tecnologia si muovono molto più velocemente del processo decisionale del governo.

Ormai dovrebbe essere chiaro anche all’attuale Governo che l’aggravarsi della crisi migratoria che coinvolge in pieno l’Italia non è una emergenza temporanea, ma uno sconvolgimento geopolitico che si aggiunge alle minacce ibride ed alle vulnerabilità multi-dimensionali che rendono necessario innovare la governance e l’architettura istituzionale della sicurezza e Difesa nazionale, adeguando le capacità di intelligence in ogni sua componente cibernetica (TEMPINT) , di analisi strategica, delle strutture, delle tecnologie, delle risorse umane e delle procedure che devono garantire coerenza ed efficienza all’azione di governo, flessibilità e capacità di adattamento a mutamenti sempre più repentini negli scenari di sicurezza.

Il nostro sistema di sicurezza nazionale deve decisamente mirare a stare al passo con il processo di innovazione nel settore delle tecnologie, anche quelle dual-use.

Tutto ciò è realizzabile oggi attraverso l’implementazione di sistemi cibernetici in grado di monitorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7, le nostre acque sia dal punto di vista geofisico che dal quello della Homeland security, di identificare rapidamente gli incidenti e di coordinare efficacemente le risorse per la Ricerca ed il Soccorso, garantendo lo stato di diritto e la sicurezza di tutti coloro che utilizzano il mare, il presidio delle frontiere, il mantenimento di acque sicure per la crescita economica, tutti fattori indispensabili per sostenere la prosperità delle nostre città e degli ecosistemi costieri.

Indipendentemente dalle politiche che l’UE prima o poi deciderà di adottare sul tema immigrazione, l’Italia non dovrebbe isolarsi  predisponendo “blocchi navali”, ma perseguire con determinazione la via diplomatica evitando di alimentare tensioni con gli alleati (Francia, Germania e Spagna in primis), promuovere la cooperazione ma anche la deterrenza nei confronti dei Paesi africani che utilizzano i migranti come forma di pressione nei confronti dell’Italia (Tunisia). Investire risorse per l’implementazione di corridoi umanitari e l’integrazione, ed i fondi disponibili del PNRR nello sviluppo di tecnologie strategiche all’avanguardia, in grado di innovare il nostro sistema di sicurezza nazionale. Creare una centrale di competenza operativa, come potrebbe essere il Polo Nazionale della Dimensione Subacquea , in grado di acquisire informazioni, dati e capacità in tempo reale, per fornire un quadro coerente di consapevolezza del dominio marittimo al Governo, su cui sviluppare le valutazioni delle minacce ed i protocolli di risposta necessari per una adeguata gestione dei flussi migratori dall’Africa. Coinvolgere in un quadro interministeriale inclusivo, Istituzioni regionali, enti locali, Agenzie di sicurezza, Difesa, Servizio Pubblico Radiotelevisivo, scuola, università – e non statali – imprese, Centri di Ricerca e società civile.

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