Ogni anno, il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. È stata istituita dall’Onu nel 1999, per commemorare la vita, l’attivismo e soprattutto il coraggio di tre sorelle: Patria, Maria Teresa e Minerva Mirabal, soprannominate “mariposas” (farfalle), che hanno lottato coraggiosamente per la libertà del loro paese, la Repubblica Dominicana soffocata dalla dittatura del generale Rafael Trujilo. Il 25 novembre 1960 furono torturate e uccise dai suoi sicari, e i loro corpi gettati in un dirupo per simulare un incidente. Da diversi anni i simboli contro la violenza donne sono le scarpe e le panchine rosse. Le scarpe rosse nascono da un’idea dell’artista messicana Elina Chauvet, che nel 2009 depose a Ciudad Juárez, nota come capitale del traffico di droga e di esseri umani, trentatré paia di scarpe femminili, tutte rosse. Le panchine dello stesso colore, luogo simbolico attorno al quale raccogliersi per riflettere, state in seguito adottate per rappresentare il più generale contrasto alla violenza di genere.
Ebbene, in un’epoca in cui è tristemente entrato nel linguaggio corrente il neologismo “femminicidio”, vale la pena ricordare quel femminicidio di massa che fu la cosiddetta “caccia alle streghe”, una tragedia spaventosa che devastò il suolo europeo tra il quindicesimo e il diciottesimo secolo. Nessuno è riuscito a calcolare quante furono le sue vittime. Molti registri e verbali sono andati persi, spesso distrutti volontariamente da inquisitori e giudici via via che la Rivoluzione francese spazzava l’oscurantismo dell’Antico Regime. Sta di fatto che decine di migliaia di donne, forse centinaia di migliaia,furono incarcerate, martirizzate e uccise grazie a imputazioni grottesche (Mario Boffo, “Femmina strega”, Stampa Alternativa, 2017).
Numerosi studiosi hanno provato a indagare le ragioni di questa follia sanguinaria, ma una risposta univoca ancora non è stata data. Certamente pesò il disprezzo per il sesso femminile iniettato nel cristianesimo dai padri della Chiesa, da Tertulliano come da Agostino e Tommaso d’Aquino. In un edificio ecclesiastico ancora fragile, contarono anche i timori per il riaffacciarsi, dietro la proliferazione delle eresie, di un paganesimo mai completamente debellato. Questi fattori, uniti al bisogno di esercitare un controllo politico e sociale sui fedeli, favorirono una colossale azione di propaganda contro le streghe, accusate di praticare la magia nera e l’arte del maleficio, di essere strumento di Satana e fonte delle carestie e delle epidemie che affliggevano le città e i villaggi. Nel 1468, quando Paolo II stabilì che la stregoneria era “crimen exceptum”(“delitto speciale”), il compito di sradicarla cessò di essere prerogativa dell’Inquisizione e fu esteso ai tribunali civili, dove non esisteva il divieto di versare sangue imposto a quelli religiosi.
Fu allora che in diversi paesi europei furono inventati i più disparati e crudeli congegni di tortura, a volte espressamente modellati sulla fisiologia del corpo femminile. Mentre gli assurdi e indimostrabili capi d’accusa restavano affidati a manuali come il “Malleus Maleficarum” (“Il martello delle malefiche”) del frate domenicano Heirich Kramer (1487), o a trattati sulla “Demonolatria” come quello del giurista cattolico Nicolas Rémy (1595). La stessa narrativa di genere fantastico sulla stregoneria è sterminata, e anche il cinema ha contribuito a diffondere discutibili stereotipi del fenomeno. Altri testi, invece, ne forniscono una descrizione fondata su solide basi documentarie. A parte i saggi di Jules Michelet (“La strega”, 1862) e Aldous Huxley (“I diavoli di Loudun”, 1952), in tempi più recenti proprio in Italia sono stati pubblicati tre romanzi dotati di grande attendibilità storica e dignità stilistica: “La chimera”, di Sebastiano Vassalli (1990); “Strega”, di Remo Guerrini (1991); e, appunto, il citato libro di Boffo
Le quotidiane cronache di violenza sulle donne raccontano che, nonostante gli innegabili progressi compiuti sul terreno della parità dei diritti di genere, ancora oggi la “strega” (la donna) è perseguitata quando prova a scavalcare i confini della tradizionale triade famiglia, maternità, coppia. Accanto a sopraffazioni efferate come l’omicidio, l’ustione, l’acido, il medioevo tecnologico in cui viviamo ha suscitato nuove forme di “rogo”: la diffusione via web di contumelie, commenti e giudizi che scaricano sulle donne la responsabilità di una molestia o di uno stupro subito. Non fortuitamente, un’indagine dell’Istat ha certificato che, per un quarto degli italiani, per una ragione o per l’altra “se la sono cercata”. Il cammino, dunque, è ancora lungo prima che l’altra metà del cielo trovi il posto che le compete nella società, anzitutto in quelle teocratiche.
Le streghe hanno smesso di esistere quando noi abbiamo smesso di bruciarle, diceva Voltaire. È vero solo in parte. Per fortuna, le donne continuano a sorridere, a essere irriverenti e a disobbedire, anche nella sofferenza e nell’umiliazione.