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Giorgetti

Non solo Lega. Vi racconto guerre e tregue armate in politica

La nota di Paola Sacchi

La politica italiana è entrata in una spirale bellica, almeno nel linguaggio. Alla “battaglia del Quirinale” – annunciata l’altro ieri dal Corriere della Sera scoprendo quasi all’improvviso che sotto la cenere della “moratoria” teorizzata da Enrico Letta e condivisa da altri per rispetto del presidente uscente della Repubblica cova il fuoco di uno scontro durissimo- si è aggiunta oggi la “tregua armata” annunciata da Repubblica, ma anche da altri giornali, per rappresentare la situazione nella Lega. Il cui Consiglio federale convocato d’urgenza a Roma da Matteo Salvini per l’ennesima intervista polemica rilasciata dall’amico, vice presidente del partito, o qualcosa del genere, e ministro Giancarlo Giorgetti si è concluso lasciando invariata la tensione interna. Che non si risolverà – c’è da scommetterlo – neppure nell’assemblea programmatica annunciata per l’11 dicembre, in vista di Natale e Capodanno, quando di solito ci si scambiano auguri e regali, o petardi, non pallottole.

Per restare nel linguaggio militare si può dire che Salvini ha riunito il Consiglio federale per promuoversi da “capitano”, come si è lasciato chiamare per tanto tempo nella Lega, a generale. Che -ha spiegato anche a Giorgetti ricevendone l’assenso- “ascolta tutti ma decide lui”, a cominciare dalla collocazione internazionale del partito contestata dal ministro, preoccupato dell’isolamento cui il generale, appunto, mette il suo esercito in Europa assumendo i sovranisti come interlocutori privilegiati, e oltre Atlantico tifando con gli avversari del presidente americano Joe Biden, per non parlare dell’America del Sud. Dove il privilegiato è il presidente brasiliano Jair Bolsonaro, di cui Salvini ricorda con gratitudine la restituzione alle galere italiane del terrorista Cesare Battista.

Se la Lega piange nella composita maggioranza di governo, gli altri partiti non ridono di certo. Nel Pd si è appena svolta un’assemblea di gruppo al Senato dove Enrico Letta sembrava più l’imputato che il segretario per la sfida praticamente fallita a Matteo Renzi e al centrodestra nella votazione a scrutinio segreto sulla legge presuntivamente urgente contro l’omotransfobia.

Sotto le cinque stelle grilline, sempre al Senato, Giuseppe Conte ha dovuto appena convincere il fedelissimo capogruppo Ettore Licheri a rinunciare alla conferma avendo fallito il primo tentativo nello scontro con Mariolina Castellone, sostenuta dall’ex capo del MoVimento e ora ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Alla Camera il gruppo è ancora meno controllato da Conte, le cui credenziali pertanto, anche nella partita tutta parlamentare del Quirinale, sono quelle che sono, cioè scarse.

Neppure l’ormai piccola Forza Italia di Silvio Berlusconi gode di una situazione tranquilla, per quanto tutti ancora lascino dire al presidente, come a Salvini nella Lega, che ascolta tutti ma alla fine decide solo lui.

Persino il buon Draghi in questa situazione ha dovuto rallentare il passo facendo spiegare dal suo sottosegretario di fiducia Roberto Garofali agli alti burocrati dei vari Ministeri, secondo le anticipazioni del Foglio, che il governo entra forzatamente “in una nuova fase”: non dico “spiaggiato” -come lo rappresenta impietosamente il manifesto sulla sua prima pagina giocando con la questione delle concessioni demaniali agli stabilimenti balneari contestate dall’Unione Europea perché prive di gara- ma quasi sulla sabbia della corsa al Quirinale, in cui Draghi è ormai coinvolto.

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