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Pd

Nel Pd molte parole e ancora pochi fatti

Il Bloc Notes di Michele Magno

 

Come previsto, saranno Nicola Zingaretti, Maurizio Martina e Roberto Giachetti a contendersi la leadership del Pd il 3 marzo prossimo (per inciso, absit iniuria verbis, è la domenica di Carnevale).

Due settimane dopo le primarie, l’Assemblea nazionale proclamerà – salvo ballottaggio – il nuovo segretario. A quel punto, entro venti giorni andranno depositati i simboli per il voto europeo, definiti gli organismi dirigenti, compilate le liste dei candidati e, soprattutto, sottoscritti i termini dell’auspicabile armistizio interno tra renziani e antirenziani, tra chi strizza l’occhio destro a Silvio Berlusconi e chi strizza l’occhio sinistro a Luigi Di Maio (o a Roberto Fico, se si preferisce).

Una vera e propria corsa ad ostacoli, come ha osservato Arturo Parisi, uno che se ne intende. Nel frattempo, sarà trascorso un anno esatto da una micidiale sconfitta elettorale, senza che i vertici del partito siano stati in grado di sottoporre preliminarmente agli iscritti e all’opinione pubblica uno  straccio di pensiero condiviso (bastavano tre paginette) sulle sue ragioni e sul come porvi rimedio. In compenso, in questi mesi è stata assai vivace la kermesse dei convegni di corrente e dei libri-manifesto di singole personalità.

È vero, il 30 settembre dello scorso anno c’è stata la classica reazione coraggiosa del pugile alle corde sul ring di una celebre piazza romana, ma chi se la ricorda? In passato ho avuto qualche dimestichezza con le arcane alchimie della politica, ma confesso che l’ormai cronico autolesionismo praticato a Largo del Nazareno resta per me un mistero. John Dewey diceva che l’istinto è un impulso carico di abitudini. Quello dei democratici a farsi del male è carico di lotte intestine talvolta poco nobili, e comunque di una litigiosità così elevata da scoraggiare anche un santo. Da ultimo, nella Convenzione nazionale perfino l’unica iniziativa politica degna di questa nome messa in campo in questi mesi, quella di Carlo Calenda, è stata oggetto di un incomprensibile ostracismo (a dispetto dell’endorsement formale di tutti e tre i candidati alla segreteria).

Un discorso a parte, poi, meriterebbe da un lato il persistente divario tra le energiche proteste nelle aule parlamentari contro la manovra finanziaria e i provvedimenti simbolo del governo; e, dall’altro lato, le ancora fiacche proposte per un programma alternativo (immigrazione, lavoro, welfare, fisco, quale Europa e con quali alleanze). Ma ora la campagna congressuale entra nella sua fase conclusiva e forse non tutto è perduto. Sapendo però, come ammoniva Machiavelli, che “non c’è niente di più difficile da condurre, né più dubbioso di successo, né più dannoso da gestire, dell’iniziare un nuovo ordine di cose”. Beninteso, sempre che lo si voglia iniziare sul serio.

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