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Tunisia

Guerra, è tempo di un negoziato?

Fallito il piano iniziale, e non avendo la Russia uomini da impegnare per riconquistare le posizioni perdute, è forse giunto il momento di iniziare a pensare a un negoziato. L'analisi di Gianfranco Polillo.

L’eroismo e la determinazione di un popolo, unitamente alla solidarietà e l’impegno dell’Occidente, hanno messo all’angolo Vladimir Putin, trasformandolo in un mostro. La cui reazione è stata crudele e rabbiosa. Quei cento missili lanciati sulle principali città dell’Ucraina, con l’intento di uccidere, mutilare, sfregiare decine di civili inermi ne sono la dimostrazione. Efferatezza e debolezza strategica: questa la doppia componente che ha caratterizzato la discesa verso l’inferno dei vertici russi. E non basterà certo il turnover accelerato di generali ed ufficiali per recuperare il tempo perduto.

Si ripensi a come tutto era iniziato. Quella che doveva sembrare un’”invincibile armada” schierata ai confini dell’Ucraina. Semplice esercitazioni militari: la prima menzogna di Putin e dei suoi accoliti, mentre l’intelligence americana cercava, inutilmente, di mettere in guardia circa le reali intenzioni del Cremlino. Quindi quelle centinaia di automezzi e di blindati che puntano verso Kiev. Talmente numerosi da intasare le strade e rallentare, essi stessi, la blitzkrieg. Quell’azione, studiata sui manuali tedeschi, che, in un lampo, avrebbe dovuto portare all’annientamento dei neo-nazisti (a proposito che fine hanno?) per “sostituire il governo di Zelenksy con persone per bene e ritornare indietro”. Secondo il Vangelo di Silvio Berlusconi.

All’origine del termine ”operazione militare speciale” non era solo il tentativo di indorare la pillola per evitare contraccolpi interni. Era la presunzione di Golia nei confronti di Davide. L’idea cioè che un grande impero militare, come la Federazione Russa, tra l’altro provvista di artigli nucleari, avrebbe fatto strame di un esercito raccogliticcio, come sembrava essere quello dell’Ucraina. Tanto era la sproporzione dei mezzi. Sottovalutando, ovviamente, la forza di chi combatte per la propria libertà e che é disposto a morire, piuttosto che ricadere nelle grinfie di quel regime dispotico, che ha le insegne di Mosca.

Venuta meno quest’ipotesi ed iniziata una frettolosa ritirata verso il Donbass, sembrava che un “piano B”, sebbene di ripiego, potesse aver successo. Conquistare tutto il sud est dell’Ucraina (gli oblast di Donetsk
Lugansk, di Kherson e Zaporizhzhia) per poi annetterli, con un referendum farsa, alla madre patria Russia. Quindi lanciare un avvertimento ai naviganti. Qualsiasi attacco nei confronti del sacro suolo della Russia, esteso alle nuove terre, avrebbe comportato pesanti rappresaglie. Fino ad includere l’eventuale uso di armi nucleari tattiche. Non si può dire che quel piano sia riuscito. La controffensiva ucraina é stata, per molti versi, devastante. A farne le spese non solo gli oblast annessi, ma la stessa Crimea, con il camion – bomba che ha fatto saltare il ponte di Kerc.

Il “piano B” doveva anche essere il contentino per un’opinione pubblica interna, sempre meno acquiescente. Decisa, all’improvviso, a scendere in piazza contro l’ipotesi di una mobilitazione, seppure parziale, dei riservisti. Nuova carne da cannone per compensare l’insipienza dei vari generali ed assecondare il delirio di grande potenza di chi vagheggiava il ritorno dell’epoca dei grandi Zar. Sogni ad occhi aperti, destinati a trasformarsi in un incubo di fronte alle fughe verso l’estero di migliaia di possibili coscritti. E nel dilagare delle proteste di piazza, seppure ferocemente represse dalla polizia di regime. Elementi che hanno contribuito a rendere sempre più evidente il progressivo isolamento della nomenclatura al potere. Mentre gli stessi alleati (Cina e India) non nascondevano le loro crescenti perplessità.

In quei 100 missili lanciati, come rappresaglia, di cui si diceva all’inizio c’é, quindi, tutta l’esasperazione (che fa rima con disperazione) del Cremlino. Una pura e semplice vendetta, piuttosto che un’azione bellica rispondente ad una qualche strategia. Come tale compresa e condannata dalla stragrande maggioranza dei Paesi presenti nell’Assemblea generale dell’ONU. Una nuova cocente sconfitta politica di Putin, reo di aver messo la semplice forza fisica al posto della ragione. Una nuova debolezza, subito colta da Zelenksy e dagli alleati occidentali, ormai disposti a fornire quelle difese antiaeree che, impediranno, ai missili sovietici di fare ulteriori disastri.

Fallito il piano iniziale, dimostratesi poco credibile lo stesso piano B, non avendo la Russia, almeno al momento, la forza umana da impegnare per riconquistare le posizioni perdute, é forse giunto il momento di iniziare a pensare ad un possibile negoziato. Non solo un auspicio generalizzato, ma il riflesso di quei movimenti sotterranei che già si intravedono presso i due grandi antagonisti: la Russia da un lato, gli USA dall’altro. Chissà se il ventilato incontro tra Putin e Biden, nel corso della prossima riunione del G20, ci sarà. Ma il fatto stesso che se ne parli, sta a dimostrare come i tempi siano cambiati. Lo stallo nelle azioni militari ha dimostrato che nessuno dei due belligeranti é in grado di vincere la guerra. Ed allora, rovesciando il ragionamento di Von Clausewitz, non resta che tornare alla politica.

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