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Nato Russia

Nato, ecco il jolly dell’Italia

Al quartier generale della Nato di Bruxelles il conto alla rovescia è cominciato: l’anno prossimo si sceglierà il segretario generale, destinato ad affiancare il comandante militare, da sempre espresso dagli Usa. Nomi, rumors e scenari. L'editoriale di Pietro Romano sul numero di Aeronautica&Difesa in edicola 

“Il segretario generale ha storicamente un ruolo molto significativo. Presiede di diritto il Consiglio e qualsiasi consesso dell’Alleanza. Intrattiene rapporti politici in tutto il mondo. Ha a disposizione uno staff di 1.200 persone. Dispone dell’expertise del Comitato militare, composto da generali a tre stelle. Può contare sul quartier generale supremo delle potenze alleate in Europa, dove operano alcune migliaia di ufficiali”, ha spiegato l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, presidente della Nato Defense College Foundation, che da vice-segretario generale ha sburocratizzato e modernizzato l’Alleanza.

Paese fondatore della Nato e tra i maggiori contribuenti economici e militari, alla corsa per la carica di segretario generale l’Italia non può mancare. Finora ne ha contato solo uno: l’ambasciatore Manlio Brosio, già ministro liberale e quindi diplomatico di carriera, che è rimasto in carica dal 10 agosto 1964 al 1° ottobre 1971, allorché si dimise di propria iniziativa e tornò a fare politica in Italia. Nella vita della Nato il Regno Unito e l’Olanda hanno contato tre segretari generali; Belgio, Germania, Spagna, Danimarca e Norvegia, come il nostro Paese, uno. Di solito l’incarico è stato rivestito da uomini politici (perlopiù di orientamento social-laburista) ma solo gli ultimi due (il danese Anders Rasmussen e il norvegese Jens Stoltenberg) ex capi di governo. Inspiegabile, forse causata dalla provenienza politica dal centro-destra del candidato italiano, è stata la decisione adottata nel 2014 dall’Alleanza (al tempo in cui era presidente Usa il democratico Barack Obama)  di preferire a Franco Frattini proprio Stoltenberg, che non ha certo spiccato nei sette lunghi anni in cui tra una proroga e l’altra è rimasto segretario generale della Nato. Ma ora l’occasione si ripresenta.

L’Italia, però, è storicamente sottodimensionata negli organismi internazionali, a cominciare dalle istituzioni europee. E non c’è governo che tenga di fronte a questa poco invidiabile “tradizione”. Di recente, l’eccellente Carmine Di Noia si è vista soffiare la direzione della potente autorità Ue di controllo sui servizi finanziari (Esma) dalla tedesca Verena Ross. Insomma, per il nostro Paese la corsa alla segreteria generale della Nato parte in salita.

I candidati non mancano. Uscito dal mazzo Enrico Letta, diventato segretario del Pd, girano i nomi dell’ex premier Matteo Renzi e del presidente della commissione Difesa della Camera, Piero Fassino. Troppo flamboyant Renzi, non più giovanissimo Fassino, secondo indiscrezioni raccolte in ambienti diplomatici nessuno dei due sembra godere molte chances. Se il genere dovesse prevalere su ogni altro elemento in lizza scenderebbe Federica Mogherini, già alto rappresentante per la Politica estera dell’Ue, un’esperienza nella quale in molti ritengono non abbia brillato.

In verità, suggeriscono autorevoli osservatori da una sponda all’altra dell’Atlantico, l’Italia dispone di un jolly che potrebbe fare la differenza. Si tratta di Stefano Pontecorvo, il rappresentante della Nato in Afghanistan, che tutto il mondo ha conosciuto, e apprezzato, nei giorni della caduta di Kabul. Figlio di un diplomatico, vissuto all’estero per buona parte della sua vita (da Londra a Mosca, da Bruxelles all’Asia), Pontecorvo è stato anche consigliere diplomatico di tre ministri della Difesa di diversa estrazione. Incurante del poco onorevole fuggi fuggi generale da Kabul, Pontecorvo ha coordinato le operazioni di esodo dei civili dall’aeroporto della capitale afghana con successo riconosciuto a livello mondiale malgrado una situazione da apocalisse. L’unica sua debolezza sembra l’età: ha 64 anni. Ma l’energia mostrata a Kabul era quella di un ventenne. Il rischio per lui è piuttosto la fragilità del sistema Paese.

 

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