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Bennett

Perché Putin incontra Bennett

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett è stato a Mosca per mediare tra Putin e Zelensky. L'articolo di Andrea Mainardi.

 

È Naftali Bennett che Putin ha accettato di vedere a Mosca. Non il francese Emmanuel Macron, non il cancelliere tedesco Olaf Scholz, né i primi ministri di altri Paesi.

Secondo quanto riferito dalle agenzie stampa internazionali, il viaggio di Bennett è stato coordinato con Washington, Berlino e Parigi. Ed è stato fatto anche con la consapevolezza degli ucraini, il cui presidente Volodymyr Zelensky (ebreo) aveva criticato Bennett e il governo israeliano per non aver preso una posizione più energica contro Putin. Una posizione giudicata duramente dagli stessi media israeliani, come “vergognosamente vile nei confronti di Vladimir Putin, con condanne deboli e opache”.

Ricorda il Jerusalem Post: “C’è un diffuso scetticismo sul viaggio. La Casa Bianca ha dato la benedizione a Bennett, ma  ritiene che le possibilità di successo siano scarse”.

Sembra comunque che l’approccio misurato di Gerusalemme abbia almeno piantato dei semi. Tre ore di colloquio con Putin al Cremlino. Poi un incontro con Scholz a Berlino. E telefonate con  Macron e il presidente ucraino Zelensky.

Frutti? In effetti al momento c’è poco. Stando a Ynet, che cita il portavoce del presidente ucraino, non è ancora chiaro cosa abbia ottenuto l’incontro Bennett-Putin. Secondo il sito web, Sergey Nikiforov afferma che nella telefonata di Bennett con Zelensky – dopo l’incontro del primo con Putin a Mosca – il leader ucraino non ha sentito nulla di particolarmente nuovo. “Non possiamo valutare i risultati della mediazione del primo ministro Bennett finché non avremo una chiara indicazione da Bennett o Putin su un accordo per un incontro [con Zelensky, ndr]”, dice. In tarda serata Zelensky si è limitato a un tweet secco: “Il primo ministro di Israele mi ha chiamato dopo il suo incontro con Vladimir Putin. Continuiamo il dialogo”.

Secondo Ynet la questione principale sollevata al Cremlino è stata la necessità di un cessate il fuoco, e Putin ha chiesto al primo ministro di astenersi dal trasferire aiuti militari agli ucraini. Cosa che già evita, mentre invia medicinali e cibo. A breve Israele terminerò la costruzione di un ospedale da campo nei pressi di Leopoli, dedicato soprattutto ai bambini. Gerusalemme accoglie anche profughi, ma – accusano il governo in Israele – con troppi limiti. Almeno fino a qualche giorno fa.

Ma c’erano altre questioni sul tavolo tra il premier israeliano e il presidente russo. Inclusa la preoccupazione di Israele per la sicurezza degli ebrei e degli israeliani nelle zone di battaglia. Tema caldo per Israele, data una forte presenza ebraica in Ucraina. Così come in Israele abita una nutrita comunità slava, compresi cittadini di origine russa.

C’è comunque un diffuso scetticismo – o forse è solo disincanto – sul successo del viaggio. Bennett sta da giorni cercando i bilanciare la preoccupazione per gli interessi di Israele, nel mantenere buone relazioni con la Russia a causa del controllo di Mosca dei cieli siriani, con le preoccupazioni umanitarie per gli ucraini coinvolti nei combattimenti. Solo nelle prossime ore vedremo se la missione darà frutti.

Oltre la questione dell’efficacia dei negoziati, Bennett ha urgenza di mandare un segnale, soprattutto in patria. Scrive il Jerusalem Post: “Nella guerra russo-ucraina, sembra che più che volere direttamente questo ruolo di mediatore, Israele vi sia stato spinto. Vi è stato spinto dall’Occidente, che a causa delle sue sanzioni ha perso la capacità di fungere da intermediario con Putin; ed è stato spinto dall’opinione pubblica, sia nazionale che internazionale, sconcertata dal fatto che Israele – con la sua storia unica – non avesse assunto un ruolo più deciso nella crisi”.

Bennett comunque si è proposto come mediatore. E lo ha fatto di sabato – giorno sacro per gli ebrei –, volando prima a Mosca poi a Berlino. Il primo ministro israeliano, che è un ebreo praticante, ha potuto violare lo Shabbat perché l’ebraismo lo consente quando l’obiettivo è preservare la vita umana. Lo ha ricordato il suo portavoce.

Bennett aveva trasmesso un messaggio in ottobre, dopo che Zelensky glielo aveva chiesto. Il Cremlino ha risposto picche. Putin avrebbe definito nazista il presidente ebreo ucraino già durante il suo incontro con Bennett lo scorso anno. Di nazisti in Ucraina ora Putin parla ogni due per tre.

Zelensky ha sollevato di nuovo la possibilità della mediazione, subito dopo l’inizio della guerra, e Bennett ha parlato con Putin domenica scorsa – e per la prima volta Putin non ha detto di no. Mentre funzionari israeliani di alto livello non pensavano che Israele avrebbe dovuto prendere parte attiva alla mediazione – scrive la stampa israeliana – sembra che Bennett abbia preso a cuore le suppliche di Zelensky.

A Mosca il premier è andato con il suo ministro dell’Edilizia, Ze’ev Elkin. Elkin è di origine ucraina e parla russo. Ha rapporti decennali con Putin. È considerato il principale cremlinologo dell’attuale governo israeliano. È nato a Kharkiv, nell’Ucraina orientale – città sotto le bombe anche sabato 5 –, e ha un fratello che vive in Ucraina. Il ministro ha rifiutato interviste sulla guerra. Ma i rapporti in diverse pubblicazioni israeliane hanno riportato la sua frustrazione per il modo con cui il governo l’ha gestita finora e ha chiesto che si faccia molto di più per salvare la vita di molti ebrei in Ucraina. Le stime vanno dai 50mila ai 200mila.

Il negoziato potrebbe aiutare a salvare vite umane. E tornerebbe comodo a Gerusalemme. Ad esempio, se Israele può svolgere un ruolo utile nel negoziato, potrebbe trovarsi in una posizione più forte per fare determinate richieste di sostegno a Stati Uniti, Germania e Francia, riguardo all’accordo nucleare iraniano che potrebbe concludersi in questi giorni.

Eppure: “Israele ha fallito la prova dell’umanità – attaccava poche ore prima del viaggio il quotidiano di centrosinistra Haaretz  – Viene trascinato dalla parte giusta della storia, quasi contro la sua volontà”.

Perché? In effetti dal 24 febbraio si sono accumulate parole e posizioni eufemisticamente tiepide. È vero che il governo si era espresso inizialmente a sostegno all’integrità territoriale dell’Ucraina.

Solo successivamente – in seguito alle pressioni degli americani e alle critiche pubbliche all’interno di Israele – il ministro degli Esteri Yair Lapid e Bennett hanno deciso una divisione del lavoro. Il primo ha condannato la Russia. Il secondo no, limitandosi ad appelli umanitari e a dichiarazioni di questo tenore: “La guerra è una cosa terribile… Le guerre sono facili da iniziare e difficili da finire”.

Questa politica è stata evidente quando gli Stati Uniti hanno chiesto ai loro alleati di co-sponsorizzare una risoluzione del Consiglio di sicurezza per condannare la Russia. La missione statunitense ha contattato dozzine di paesi, chiedendo loro di sostenere la risoluzione. Potevano co-sponsorizzare la risoluzione, anche se non potevano votarla. Ottantuno paesi hanno risposto all’appello degli Stati Uniti e hanno firmato, secondo un elenco ufficiale ottenuto da The Times of Israel. Israele ha rifiutato.

In seguito Israele ha votato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per condannare Mosca, ma l’immagine di un paese riluttante a schierarsi con l’Occidente era già stata creata. Anche al dibattito dell’Assemblea generale, l’ambasciatore israeliano all’ONU, Gilad Erdan, è scomparso. Rappresentava Israele il vice ambasciatore. Al mondo è sembrato che Israele avesse declassato il messaggero per attenuare il colpo alla Russia.

Più tardi , la CNN ha intervistato l’ex segretario alla Difesa degli Stati Uniti, William Cohen, che ha espresso la sua profonda delusione per la posizione di Israele. “Ora si tratta di stare con i russi o con gli Stati Uniti e l’Occidente. Devono prendere una decisione”, ha detto Cohen a proposito di Israele. Per l’ex segretario USA, solo un intervento di Paesi amici della Russia come Cina e, appunto, Israele potrebbe sbloccare la situazione.

Bennett gode comunque di uno status unico: ha canali di comunicazione aperti con i presidenti di Ucraina e Russia. Ha parlato con il presidente ucraino  Zelenskyy, e con Putin due volte da quando è scoppiata la guerra.

E prima del nuovo incontro di sabato 5, Bennet aveva già incontrato il cancelliere tedesco  Scholz. Avevano parlato senza interpreti per più di un’ora. Da quanto trapelato avevano discusso dell’avvicinarsi dell’accordo nucleare iraniano a Vienna e ovviamente di Ucraina. Fonti diplomatiche valutano che Scholz si sia servito di Bennett per trasmettere messaggi a Putin, dato che il collegamento diretto tra Scholz e Putin si è molto complicato dopo che il governo tedesco ha annunciato la sospensione del gasdotto Nord Stream 2.

Intanto, nonostante si sia molto speculato sul ruolo di un Israele filorusso che avrebbe offerto parcheggi ai jet privati e agli yacht degli oligarchi russi colpiti dalle sanzioni, ieri aeroporti e porti hanno chiuso la possibilità ai miliardari.

E come in tutte le pieghe di questa invasione russa, anche qui c’è un risvolto religioso. Le posizioni degli ebrei tra Russia e Ucraina non possono non essere ascoltate a Gerusalemme. Specie in uno stato che ha per premier un ebreo praticante. Da giorni gli ebrei ucraini si sentono abbandonati: “Il governo israeliano non sta dimostrando abbastanza coraggio e impegno”. Questo il popolo. I leader a volte sembrano concentrarsi su altro.

Il presidente della Federazione delle comunità ebraiche russe, Alexander Boroda, ad esempio, ha espresso sconcerto per il fatto che il neonazismo si stesse attivamente affermando in un Paese come l’Ucraina. In una intervista del 5 a Interfax, si è detto indignato per le manifestazioni di russofobia in Europa “durante l’operazione militare russa in Ucraina”.

Dani Dayan, presidente dello Yad Vashem Holocaust Memorial Center israeliano, trova motivo di preoccupazione in alcuni recenti sviluppi in Ucraina: “Entrambe le parti stanno banalizzando e distorcendo l’Olocausto. Mi dispiace che entrambe le parti stiano usando i loro paragoni propagandistici con l’Olocausto che sono completamente imprecisi e completamente impropri”. Lo Yad Vashem Holocaust Memorial a metà febbraio aveva ricevuto una donazione di decine di milioni di dollari dall’oligarca russo-israeliano Roman Abramovich. Dayan ha firmato una lettera in cui chiedeva agli Stati Uniti di non sanzionare il miliardario russo e grande donatore Abramovich.

Interessante l’intervento del rabbino capo di Russia, Berel Lazar, che il 3 – due giorni prima della missione del premier Bennett ha rotto il silenzio, chiedendo la fine della guerra, e si è offerto di mediare. Questo dopo che i rabbini ucraini si erano scagliati con durezza contro l’invasione. Il rabbino di Kiev maledice i russi in attesa durante l’invasione dell’Ucraina. Un altro rabbino ha paragonato Putin a Hitler, chiamando a distruggere i suoi carri armati.

Lazar si è da anni guadagnato il soprannome di “rabbi di Putin”. Il suo appello di mercoledì sembra una rottura importante rispetto alle precedenti posizioni sulle politiche russe riguardo all’Ucraina. Nel 2014, quando la Russia ha effettivamente annesso la penisola di Crimea, Lazar aveva denunciato i  rabbini ucraini che si erano opposti alla mossa, dicendo loro di tacere “sull’attività dei politici”. Il vento sta cambiando?

Aggiornamento.
Anche Bennet non celebra la sua missione a Mosca. Troppo presto per prevedere gli esiti del viaggio. Conferma che Israele ha il “dovere morale” di mediare tra Kiev e Mosca anche se le possibilità sono basse. In una infilata di tweet intorno a mezzogiorno di domenica 6, subito dopo la domenicale riunione del suo governo, riassume i contenuti del tentativo tra Mosca e Berlino del giorno precedente. Conferma di aver viaggiato “con la benedizione e l’incoraggiamento di tutti i giocatori”. Ricorda che ci sono anche israeliani che hanno bisogno di tornare a casa e comunità ebraiche in difficoltà che hanno bisogno di aiuto. E riafferma l’impegno: “Continueremo ad aiutare come richiesto”.

Il premier dice che anche se c’è solo una piccola possibilità che i suoi sforzi di mediazione abbiano successo, è “dovere morale” di Israele provarci. Cita un detto ebraico: “Finché la candela è accesa, dobbiamo fare ogni sforzo”.

Secondo la stampa israeliana Bennett e Zelensky hanno parlato due volte dopo l’incontro di sabato del primo con Putin. Sommandolo ad un altro contatto pre meeting, fanno tre colloqui tra Israele e Ucraina in 24 ore.

Il premier israeliano dedica poi due tweet ai colloqui sul nucleare iraniano a Vienna. La partita non riguarda immediatamente l’Ucraina. Ma interessa molto Gerusalemme e Mosca. Inevitabile che in tre ore di incontro Bennett e Putin ne abbiano discusso. Via tweet manda segnali. Cita la recente visita a Teheran del direttore generale dell’Aiea, Rafael Grossi: il rilancio dell’accordo sul nucleare iraniano del 2015 tra l’Iran e le potenze mondiali “non sarà possibile senza prima aver risolto i problemi di Teheran con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica”. Il sospetto dei watchdogs delle Nazioni Unite è di un lavoro all’armamento nucleare da parte di Teheran. A questo punto la firma data per probabile in settimana slitta probabilmente a giugno. Bennett comunque avverte: “La nostra posizione sull’accordo è nota: gli svantaggi superano i vantaggi. In ogni caso, l’accordo non obbliga in alcun modo lo Stato di Israele”.

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