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Accordo Ue Cina

Come Francia e Germania commerciano beatamente con la Cina

Sulla Bri è bene stare con i piedi per terra. Non svendiamoci troppo, prendiamo la Bri come un'occasione per ripartire, ma non pensiamo ad avventure contro l'Europa, perché Trump fa fire e fury con i tweet, ma poi, come abbiamo visto con Kim, accetta lo status quo e rinuncia volentieri alle esercitazioni militari in Sud Corea. L'analisi della professoressa Daniela Coli

La visita del presidente Xi Jinping e l’accordo sulla Bri con firma sul MoU (Memorandum of Understanding) divide.

Per l’enorme debito, la scarsa crescita, la debolezza internazionale, l’Italia dà alla Cina i porti di Trieste e Genova. Però la Bri è anche un’occasione positiva, a patto di attrarre altri investimenti e di restituire i prestiti cinesi.

Va considerato che la Germania è il primo partner commerciale della Cina, alleato dei cinesi contro i giapponesi fino a Pearl Harbor, e ha investimenti cinesi, come la Francia e l’Europa del Nord, ma non dipende da Pechino perché produce in Cina metà auto Volkswagen, esporta prodotti Siemens e di recente ha posto il veto ai cinesi su imprese tedesche.

Alberto Negri ricorda che Israele, il miglior alleato Usa, ha venduto ai cinesi il porto di Haifa, scalo della marina americana, e la Turchia, membro della Nato, compra missili da Putin, senza che gli Usa dicano niente. Per Negri la rete 5G e Huawei è già penetrata in Francia e nell’Europa dell’est. Così a Berlino arriva il gas di Putin e gli Usa non si sono opposti, mentre Usa e europei si sono opposti a South Stream. Questo perché la Germania ha buoni rapporti con gli Stati Uniti e la Russia.

La Germania ovest ha fornito agli Stati Uniti l’intelligence sull’Armata Rossa e l’Unione Sovietica con Renhard Gehlen, ex capo dei servizi segreti di Hitler sul fronte orientale, e ha costruito buoni rapporti con la Russia con la Ddr, perché molti cittadini della Germania est hanno sposato russi, andavano in Russia o hanno imparato il russo, come Angela Merkel che parla russo con Putin, che parla tedesco.

Se la Germania si è riunificata senza spargere una goccia di sangue è per merito di Reagan e di Putin, a cui i tedeschi erano grati, subito dopo la caduta del muro, perché aveva distrutto gli archivi della Stasi, impedendo fossero noti i nomi delle spie tedesche e, di conseguenza, conflitti e rancori tra tedeschi. L’ex cancelliere Schröder, successore di Kohl alla guida della Germania, col padre morto sul fronte orientale, poi dirigente di Gazprom, in buoni rapporti con Putin, è la dimostrazione della capacità tedesca di sapere affrontare la realtà.

Abbiamo visto Schröder alle Olimpiadi invernali del 2018 a Seul, con la nuova moglie-interprete sudcoreana, partecipare al summit tra le due Coree, proposto da Kim Jon-un durante i giochi, da cui poi è si è sviluppato l’incontro tra Trump-Kim del 2018. Fu il cancelliere Schröder a voler l’apertura dell’ambasciata a Pyongyang per contribuire a portare la democrazia e i diritti umani in Nord Corea. L’ambasciata tedesca a Pyongyan ha sede nell’ex ambasciata dell’ex Germania est, ora condivisa con l’ambasciata britannica e svedese. Quando Angela Merkel nel luglio 2017 ha ricevuto con gli onori militari il presidente sud coreano Moon Jae-in a Berlino si è parlato di Merkel diplomacy.

La Germania ha proposto una soluzione diplomatica per la denuclearizzazione della Nord Corea invece di un intervento militare, e insieme a UK e Francia, anche sanzioni. Trump è famoso per l’antipatia per Merkel, ma la diplomazia è diversa. Sarebbe quindi importante per l’Italia non farsi troppe illusioni di abbattere Germania e Francia con l’appoggio degli Stati Uniti di Trump e di non teatralizzare troppo la visita di Xi.

Tanti paesi hanno firmato accordi con la Cina e lo hanno fatto con discrezione, perfino il Giappone, dove Xi inaugurerà le Olimpiadi del 2020 a Tokyo. Per di più, Xi verrà in Italia, ma poi andrà a Parigi, e il 9 aprile parteciperà al summit bilaterale Ue-Cina. Sarà il 21° summit bilaterale.

Quindi, la visita in Italia di Xi, la Bri e il MoU vanno inserite nel contesto europeo. Se l’Ue temesse tanto la Cina non le avrebbe permesso di acquisire il Pireo in Grecia. L’Ue ha già firmato un deal col Giappone e a Bruxelles il 9 aprile per Reuters si cercherà un accordo Ue-Cina. In questo caso, l’accordo Cina-Italia sarebbe perfettamente in linea con la politica Ue.

È un wishful thinking “sovranista” fare credere che l’Italia possa spezzare le reni a Germania e Francia con un’alleanza tra Stati Uniti, Russia, Cina e anche Gran Bretagna, che se ne sta andando dall’Ue. Non siamo nel 1944 e per questo l’UK è in pieno caos: non sa più quale sia il proprio ruolo nel mondo. La guerra con la Germania costò l’impero all’UK e inglesi e francesi sanno come ne approfittarono gli italiani. Se è esistita una rivalità anglo-francese, è però a Macron che i britannici si rivolgono per avere un rinvio lungo per Brexit, perché Merkel, a parole, sarebbe disposta a concederlo e il presidente francese fa il poliziotto cattivo.

In realtà, la Global Britain è illusione: nel Commonwealth l’UK esporta solo il 9%, non è riuscita a firmare accordi con Cina, Giappone, India e le imprese straniere, come i magnati brexiteer, stanno scappando dall’UK. È l’UK ad avere bisogno dell’Ue, non l’Europa del Regno Unito e questo è il dramma di Brexit.

Quindi, sulla Bri è bene stare con i piedi per terra. Non svendiamoci troppo, prendiamo la Bri come un’occasione per ripartire, ma non pensiamo ad avventure contro l’Europa, perché Trump fa fire e fury con i tweet, ma poi, come abbiamo visto con Kim, accetta lo status quo e rinuncia volentieri alle esercitazioni militari in Sud Corea.

Siamo nell’era dell’Easternization, come la chiama Gideon Rachman, e per questo occorre un’Europa capace di buoni rapporti con la Cina, ma anche di competere con la Cina.

Kissinger e Nixon nei primi anni Settanta decisero di allearsi con Pechino, di trasferire in Cina tecnologia e imprese, credevano di giocare al divide et impera, ma non è andata come desideravano. Così adesso assistiamo pure al paradosso di un governo antiglobalista che apre le porte alla Cina, il paese guida della globalizzazione.

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