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Usa Cina

Perché i militari Usa abbassano le tensioni di guerra con la Cina

Cosa ha detto il generale Charles Brown, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, sulle tensioni militari con la Cina. L'analisi di Andrea Muratore, analista presso il Centro Italiano di Strategia e Intelligence.

Una presa di posizione cauta contro l’idea dell’inevitabilità della guerra. Il generale Charles Brown, presidente dei Joint Chiefs of Staff, lo Stato maggiore congiunto statunitense, ha parlato nettamente a Tokyo nella giornata del 10 novembre sull’idea della conflittualità tra Usa e Cina su Taiwan: “Penso che [il presidente cinese] Xi Jinping in realtà non voglia prendere Taiwan con la forza. Cercherà di utilizzare altri modi per farlo”, ha detto chiaramente.

Brown ha indicato la ridotta capacità navale cinese, l’assenza di una vera forza da sbarco per l’attacco a Taiwan e la presenza di potenziali alleati per Taiwan non solo negli Usa ma anche tra gli altri Paesi della regione come un deterrente sistemico a ogni ipotesi di attacco. Certo, la Cina resta per Brown un player che sta esercitando “pressioni diplomatiche, economiche e anche militari” su Taiwan, ma questo non vuol dire che stia preparando una guerra.

BROWN MANDA UNA SPONDA A BIDEN?

Le parole di Brown mostrano la complessa divisione che alberga nei pensatoi strategici Usa. In passato John Aquilino ammiraglio a capo della flotta Usa nel Pacifico, ha dichiarato di ritenere imminente una possibile minaccia diretta cinese a Taiwan, ricalcando le parole del predecessore Philip Davidson. E anche la “zarina” dell’intelligence Usa, Avril Haines, ha dichiarato possibile un’azione di Pechino su Taiwan entro il 2030.

Brown manda una sponda a Joe Biden su questo fronte?  Il presidente degli Stati Uniti e il leader cinese Xi Jinping dovrebbero incontrarsi al forum di cooperazione economica Asia-Pacifico (Apec) a San Francisco la prossima settimana e questo incontro, il secondo dall’elezione dell’ex vice di Obama alla Casa Bianca, mira a gestire diversi dossier. Washington e Pechino non arretreranno certamente sulla sfida a tutto campo sulla tecnologia fatta di sanzioni reciproche e vagli agli investimenti in tecnologia, chip e intelligenza artificiale. Su questi settori si gioca la primazia economica del prossimo futuro e lo stop di Pechino all’export di grafite implica una “militarizzazione” delle politiche commerciali che certamente non va nella direzione della distensione Usa-Cina.

COMPETIZIONE ECONOMICA E CONFLITTO MILITARE

Ma una conflittualità economica e commerciale non ne presuppone al contempo, giocoforza, una militare. La Cina vive complesse dinamiche interne sul fronte economico e deve riprendere un pieno sentiero di sviluppo; Washington è attesa dal voto del 2024 in cui lo stesso Biden si gioca la riconferma alla Casa Bianca contro l’arrembante Partito Repubblicano in cui Donald Trump mira a prendersi la sua rivincita. Ma ad oggi le forze armate Usa sembrano aver interiorizzato che la Cina si può contenere e contrastare senza necessariamente alzare i toni. La priorità è puntellare le capacità di difesa di Taiwan e dunque la sua deterrenza assieme a quelle di attori come l’Ucraina (contro la Russia) e Israele (contro l’Iran), senza toni apocalittici che troppo spesso al Congresso si sentono, specie su Pechino. L’attivismo dell’onorevole repubblicano Mike Gallagher, a capo di un comitato ad hoc sul Partito Comunista Cinese, cozza con le parole dei generali stellati americani. I quali rifuggono da ogni pretesa millenaristica.

 

Brown non fa altro che ribadire quanto aveva detto più volte il suo predecessore Mark Milley: a marzo il generale Milley, ancora in carica, ha messo in guardia contro l’aumento della retorica “surriscaldata” di un’imminente guerra degli Stati Uniti con la Cina, e ha detto di dubitare delle possibilità della Cina di conquistare Taiwan. Milley, lo ricordiamo, a gennaio 2021 chiamò gli omologhi cinesi al fine di rassicurare Pechino sul fatto che gli Stati Uniti sono rimasti stabili dopo le elezioni del 2020 e che il tramonto dell’era Trump non avrebbe portato azioni offensive nei loro confronti per distrarre l’opinione pubblica dai fatti di Capitol Hill.

I MILITARI USA VOGLIONO RIDURRE I RISCHI CON LA CINA

I militari Usa vogliono ridurre i rischi di un conflitto ingovernabile con Pechino. E de-risk è la parola d’ordine che sulla Cina ha anche promosso un grande ex delle forze armate Usa, il generale David Petraeus, che parlando a un evento del Journal of Commerce a febbraio l’ha intesa nella sua doppia veste di ex comandante delle truppe Usa in Iraq e Afghanistan (oltre che direttore della Cia) e di attuale partner del colosso finanziario Kkr: il de-risking può essere inteso sia in senso di riduzione della minaccia cinese all’economia americana nei settori strategici, dunque in una chiave competitiva, che in senso diplomatico e militare, con la ricostruzione di quegli spazi di dialogo e confronto tra superpotenze fondamentali per incanalare la competitività su binari conosciuti.

Rivalità? Si… ma con regole! Costruendo, veramente, quel bipolarismo per ora solo in potenza tra Usa e Cina che passa dalla legittimazione perlomeno formale della controparte come attore di peso con ambizioni politiche. Che si possono ovviamente contrastare e contenere, ma nella comprensione delle logiche della politica di potenza e del realismo. Un realismo “à la Kissinger” che oggi dice semplicemente che la Cina non ha la potenza per invadere Taiwan. E soffiare sul fuoco del conflitto può solo restringere spazi di dialogo che vanno a tutti i costi presidianti.

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