Nella tornata amministrativa del prossimo anno le alleanze per le candidature dei sindaci delle grandi città come Roma e Torino offriranno un test importante soprattutto per la fattibilità e il contenuto delle intese tra PD e 5 Stelle, ma il futuro di Milano fa storia a sé.
Il sindaco uscente, Beppe Sala, che aveva preannunciato una pausa di riflessione per decidere se ricandidarsi o meno, ha sciolto la riserva e con l’unica risposta possibile, quella di puntare alla sua riconferma a Palazzo Marino.
Il sindaco in carica si è anche permesso il lusso, dati i tempi, di mandare un segnale di cavalleresco apprezzamento nei confronti dei candidati (peraltro ancora non pervenuti) delle opposizioni quando ha dichiarato, rivolgendosi ai milanesi: “a voi decidere essendo convinto che, se non sceglierete me, avrete la possibilità di scegliere altri candidati capaci perché così è sempre stato a Milano”.
Molte sono le variabili che determinano l’elezione diretta del sindaco di una grande città. Il peso delle singole forze politiche e della loro capacità di aggregarsi e di allargare la propria area di influenza, la chiarezza e l’attrattività di progetti trainanti che danno una forte identità a chi li propone. Ma, last but not least, la figura del candidato (uomo o donna che sia) deve godere di una certa popolarità, avere un feeling con la città e un’importante storia di successo in qualunque esperienza lavorativa.
Milano, sede di prestigiose università, ospedali e centri di ricerca, può ancora contare su un forte tessuto industriale, commerciale e finanziario e su una vasta presenza di imprenditori, di lavoratori dipendenti ed autonomi, di professionisti uniti dall’etica del valore del lavoro e dalla convinzione che, al di là di un fisiologico conflitto sociale, esistano importanti interessi comuni tra i diversi ceti.
E’ un “civismo sociale” che ha bisogno prima di tutto che la macchina amministrativa della città funzioni senza vessazioni burocratiche per agevolare la creazione di valore da distribuire. Questo spiega anche la presenza di importanti istituzioni culturali e di una solida e diffusa rete di solidarietà che affonda le proprie radici nel riformismo socialista e cattolico di fine ottocento.
Per questo la figura del sindaco “amministratore di condominio” evocata in passato da Gabriele Albertini che per dieci anni fu l’inquilino più importante di Palazzo Marino, è oggi ancor di più un elemento centrale di fronte all’incertezza del futuro.
Cosa accadrà per effetto della pandemia nel tessuto economico sociale di Milano? Questa domanda se l’è posta anche Sala che non considera una passeggiata il prossimo appuntamento elettorale e si presenta non per completare il suo precedente programma, ma come “uomo del cambiamento cui piace intervenire in situazioni non costruite”. Alcuni tra gli avversari gli riconoscono di essere un buon gestore, ma senza visione.
Non è facile di questi tempi ad un amministratore far quadrare il bilancio, ma il trasporto pubblico funziona, i nuovi tratti della metro avanzano e la città non è certo invasa dai topi. Mentre rimane controversa la questione del traffico e del risanamento delle periferie, Beppe Sala viene attaccato da destra e da sinistra sulle questioni urbanistiche con argomenti antitetici. D’altra parte, pur in uno scenario futuro denso di gravi incognite l’attività edilizia, probabilmente spinta dal vantaggioso bonus del 110% per le ristrutturazioni e il risparmio energetico, segnala un po’ di vitalità.
Nel suo primo mandato il sindaco ha assunto anche posizioni fuori dal coro (per cui è stato attaccato dalla sinistra massimalista) quando ha sostenuto che, per effetto del maggior costo della vita, gli stipendi dei dipendenti pubblici non possono essere nominalmente uguali a Milano e a Reggio Calabria o quando ha espresso preoccupazione per gli uffici comunali deserti a causa del Covid.
Sul terreno politico, si è spesso richiamato ad una identità antifascista (ma non antitotalitaria come la dichiarazione del Parlamento Europeo) e ha avuto qualche tolleranza in eccesso nei confronti dei centri sociali. Più che una linea retta Sala ha seguito un percorso fatto di aggiustamenti e di segnali politici per tenere a bada le componenti più inquiete della maggioranza.
Il sindaco aveva anche manifestato il desiderio di dare un riconoscimento alla memoria di Bettino Craxi, un milanese la cui figura di statista non dovrebbe essere ignorata anche dalle istituzioni locali, ma poi non se ne è fatto nulla. Sarebbe stato un messaggio importante all’area (dispersa) del socialismo riformista oltre ad essere un segnale contro il giustizialismo (che non risparmia nessuno). Lo farà in campagna elettorale? Poco probabile, ma mai dire mai.
In ogni caso, sia perché è al secondo mandato, sia per la regnante confusione politica, l’attuale inquilino di Palazzo Marino è in condizioni ottimali per marcare i confini della propria autonomia politica e per dettare le condizioni ad un PD che non può permettersi il lusso di trovare un nuovo candidato. Prima della pandemia le chances di rielezione di Beppe Sala sarebbero state molto alte ma, pur tenendo conto della grave incertezza economica e sociale che vive Milano, allo stato non vi sono ragioni convincenti per disegnare scenari stravolti. In primo luogo per le difficoltà, non solo organizzative, dello schieramento di centro-destra nella scelta del candidato che va avanti da mesi.
Poi perché la ribadita volontà dei 5Stelle milanesi di tenersi alla larga da un’alleanza con Sala, della cui gestione danno un giudizio assai negativo, evita i vincoli (e fastidi) di una ipotetica intesa giallo-rossa a Milano, una città ostile all’improvvisazione, alla superficialità e soprattutto alla cultura giustizialista, assistenziale e antimercato degli eredi di Casaleggio e Grillo.
La Lega, che peraltro non ha avuto, dopo la parentesi di Marco Formentini, grande presa elettorale a Milano, preannuncia nomi di grande prestigio. Ma se i candidati con la rinuncia di Sala sarebbero stati numerosi, ora c’è molta perplessità tra i possibili pretendenti a mettersi in gioco in uno scontro diretto. Per di più il problema del centro destra non è solo quello della candidatura ma anche della assenza di un progetto-paese credibile che gli conferisca una identità politica chiara.
E’ vero che si tratta di elezioni amministrative ma in una città come Milano la scelta del sindaco assume sempre anche una forte valenza politica. Per di più non è sinora emerso con chiarezza da parte dell’opposizione di centro destra, al di là di consiglieri che si sono distinti per le loro capacità individuali, un progetto organico alternativo di governo della città. Anche Sala dovrà spiegare in cosa consiste la “ricostruzione” a cui pensa ma, se alle sue spalle ci sono errori, il suo bilancio non è fatto di macerie e non gli si possono certo attribuire particolari colpe per gli effetti della pandemia.
Non é facile dire cosa cambierà nella città, come reagiranno politicamente alcuni gruppi sociali come i lavoratori, autonomi e dipendenti, colpiti dalla crisi. Quel che è certo è che Milano, seppur ferita, vuole riprendere a vivere ed a ricominciare. Serve un’offerta politica all’altezza della situazione e un confronto di merito che sappia coinvolgere i cittadini su un progetto di ripresa.