Nelle interviste ai giornali italiani rilasciate alla vigilia del viaggio di Giorgia Meloni a Kiev via Polonia, il paese della Nato che gli americani hanno scelto come avamposto degli aiuti militari all’Ucraina aggredita da russi, il presidente Zelensky ha fatto una rapida incursione nella mostra politica interna per scommettere sulla “solidità” del governo di Roma. Solo Il Messaggero, a dire la verità, ha ritenuto opportuno farne il titolo in prima pagina. Tutti gli altri, pur riportando gli elogi a “Giorgia”, come Zelensky chiama confidenzialmente la presidente del Consiglio italiana, hanno preferito sorvolare su questo particolare. Che pure ritengo abbia la sua importanza per il contesto nazionale nel quale la visita della Meloni a Kiev è stata preparata e di cui Zelensky è sicuramente informato: tra le critiche di Silvio Berlusconi, all’interno della maggioranza, alla smania della premier di incontrare “quel signore” ucraino, e il putiferio scoppiato, sempre nella maggioranza, sul malaffare del mercato dei crediti d’imposta derivanti dal cosiddetto superbonus edilizio delle facciate e simili, lasciato per troppo tempo senza disciplina dal secondo governo di Giuseppe Conte.
LA POLEMICA BERLUSCONI-ZELENSKY
Anche in questo affare, o malaffare, la maggioranza è stata terremotata dal sostegno di Berlusconi alla rivolta contro il decreto legge cui il governo ha dovuto ricorrere per evitare lo sfascio della finanza pubblica, ma anche il costo di duemila euro subìto da ciascun italiano. Va riconosciuto tuttavia che almeno su questo punto Berlusconi – con un casco da muratore in testa messogli dal Giornale di famiglia rispolverando una vecchia foto d’archivio – ha cercato rapidamente di mettere una pezza abbassando i toni e non insistendo sulla minaccia di non votare il provvedimento riconosciuto “inevitabile”. Sulle cui modifiche il governo ha aperto una trattativa con le parti interessate.
I toni invece Berlusconi non ha ritenuto di abbassarli nella polemica contro Zelensky e i troppi riguardi che la Meloni avrebbe per lui, ignorandone la responsabilità che avrebbe nella guerra sferrata da Putin. Anzi, li ha in qualche modo accentuati respingendo come “uomo di pace” le dure reazioni polemiche del presidente del Partito popolare europeo e capogruppo a Strasburgo Manfred Weber: un uomo evidentemente di guerra.
LO SFOTTÒ A BERLUSCONI, LE LODI A MELONI
Zelensky poteva ripetere nelle interviste ai giornali italiani l’accusa già rivolta a Berlusconi una volta di stringere “le mani insanguinate di Putin”. Ma questa volta ha preferito rimproverargli solo la “disinformazione” russa nella quale è caduto e sfotterlo un po’ dicendo di essere pronto anche a lui, come Putin, a mandargli qualche cassa di vodka ucraina, per niente inferiore di qualità a quella russa. L’importante, per il presidente ucraino, era non compromettere le capacità riconosciute alla Meloni: “una donna forte – ha detto in un passaggio riportato dalla Stampa – che può tenere compatto il suo governo”, non solo sul sostegno militare e politico all’Ucraina.