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centrodestra

Che diavolo combinano Meloni, Salvini e Tajani

Un governo balneare a sua insaputa tra liti, duelli e scintille fra i due vice presidenti del Consiglio. I Graffi di Damato

Chiamatelo “duello”, come titola il Corriere della Sera sui due vice presidenti del Consiglio, Matteo Salvini e Antonio Tajani, che si rinfacciano i si e i no dei loro eurodeputati alla conferma della presidente della Commissione Ursula von der Leyen; chiamatela “lite”, come il Giornale e il Secolo XIX; chiamatele “scintille” o “sportellate” come Libero, rispettivamente, nel titolo e nell’editoriale del direttore. Aggiungete pure gli aggettivi “provinciali, sbagliate e incomprensibili” applicati dal ministro della Difesa, Guido Crosetto, sulla Stampa alle polemiche nelle quali si stanno misurando da giorni i due vice della Meloni alla guida del governo. Uno dei quali tuttavia – Salvini – è meno lontano dell’altro dalla presidente del Consiglio nella valutazione della conferma della presidente della Commissione europea, messasi nel frattempo in ferie per trattarne meglio dietro le quinte la composizione. Ma il quadro della maggioranza italiana di governo che esce dalle cronache politiche non è per niente “stabile” come vanta la premier rivendicando proprio per questa stabilità – unica, secondo lei, in tutta Europa dopo le elezioni di giugno – una presenza qualificata dell’Italia nell’organo formalmente esecutivo dell’Unione.

Il quadro sembra piuttosto di una stabilità “balneare”, come nella cosiddetta e lontana prima Repubblica si diceva del governo transitorio di turno che si formava in attesa che i partiti trovassero intese più precise, solide e durature almeno nelle intenzioni. Che ogni tanto, peraltro, venivano disattese perché annaspavano anche i governi che nascevano senza l’influenza del “generale Agosto”, di supporto al presidente della Repubblica.

Il fatto che alla maggioranza di governo in queste condizioni “non buone”, come dice il Papa parlando più in generale della democrazia nel mondo, corrisponda uno schieramento di opposizione ugualmente diviso nei contenuti e persino nelle forme di un’alternativa, potrà essere di consolazione per la Meloni nelle interviste che rilascia, preferendole alle conferenze stampa, ma non di risoluzione o di uscita dalle difficoltà.

Può essere consolatorio ma non risolutivo anche il fatto che se Roma piange, per esempio, Parigi non ride, essendo il governo francese dimissionario e non sapendo il presidente della Repubblica Emmanuel Macron, pur forte della sua elezione diretta, come uscire dalla precarietà nella quale si è infilato lui stesso con elezioni anticipate improvvisate al solo scopo di contenere l’onda di destra prodotta oltralpe dalle elezioni europee di giugno.

Non ridono, d’altronde, neppure a Washington nella corsa alla Casa Bianca. Non parliamo poi di Kiev e di Gaza.

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