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Tunisia

I misfatti del Fatto di Travaglio

Chi, come e perché viene colpito dalle penne del Fatto Quotidiano diretto da Travaglio.

Seppur per ragioni e con motivazioni diverse, tre sono i bersagli de il Fatto quotidiano. Il primo e più grosso, se non altro per la mole del personaggio, è Claudio Durigon. Esponente leghista, coordinatore per il Lazio, dopo un lungo passato ai vertici dell’UGL, attualmente sottosegretario all’economia.

Il secondo è Renato Farina, consulente di Renato Brunetta, costretto alle dimissioni a seguito di un attacco simultaneo di vari quotidiani, scesi in campi a supporto delle tesi de il Fatto. Il terzo è Stefano Folli, editorialista di Repubblica. L’ordine di posto è rigoroso. Misura la differente intensità degli attacchi.

Cominciamo allora dal Sottosegretario all’economia. Sul giornale della pubblica accusa, sempre il Fatto, una raccolta di firme per chiederne le dimissioni. Il crimine? Aver sostenuto in un comizio in quel di Latina che il parco, intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, tornasse alle sue origini. Quando Latina si chiamava ancora Littoria ed il parco era dedicato ad Arnaldo Mussolini, il fratello del Duce. Proposta, forse, indecente. Soprattutto ingenua, data la prevalenza dell’antifascismo dominante.

Era Sciascia che diceva: “Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere (e ne raccomandiamo agli esperti la più accurata descrizione e catalogazione) è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dare del fascista a chi fascista non è.” Ora chi é Durigon? Forse un romano, stanco della città eterna? Un napoletano che passa il Rubicone, pardon: il Garigliano? No: nato a Latina e figlio di migranti, provenienti dal Veneto, dal cui lavoro e dalle cui fatiche nacque quel grande capolavoro che è stata la bonifica pontina. Un’opera immensa di Benito Mussolini. Del quale si deve dire tutto il male possibile, ma anche riconoscergli qualche merito. De Felice, il grande storico revisionista che scriveva per Einaudi, docet.

Per avere un idea di quanto possa essere forti il legame con quella terra e quel passato, pregasi di leggere “Canale Mussolini” del compianto Antonio Pennacchi, purtroppo appena scomparso. O meglio ancora: recarsi a Piana delle orme, una frazione di Latina, dove un agricoltore ha costruito un museo a cielo aperto per rappresentare non solo l’epopea della bonifica, ma gli episodi bellici che portarono alla cacciata dei tedeschi. In decine di enormi capannoni, sono ricostruite le scene di vita dei contadini e degli operai che realizzarono quel miracolo, trasformando “l’angolo più selvaggio ed affascinante dell’Europa”, secondo la celebre definizione di Goethe, in una fiorente agricoltura. E poi le armi della liberazione: carri amati, aeroplani, mitragliatrici e via dicendo. Per far rivivere la drammaticità di quei momenti. Se si considera che nella realizzazione di quel piccolo capolavoro non c’é un euro di pubblico, si può capire fino a che punto quelle radici possono essere profonde

Il secondo in classifica è Renato Farina. Uomo mite, per chi lo conosce. Cattolico fervente. Ma é forse una colpa? Sempre alle prese con le angustie del proprio bilancio familiare. Non proprio un Paperone della carta stampata, come invece sono i suoi critici più accaniti. In passato ha avuto problemi con la giustizia e pagato il suo debito. La casta dei giornalisti, nei suoi confronti, è stata spietata. Si fosse applicato ad altri lo stesso criterio, la moria sarebbe stata generalizzata. Assolutamente d’accordo con l’editoriale di Piero Sansonetti. Ma anche in questo caso vale la citazione di Leonardo Sciacca. Da estendere a tutti i professionisti dell’anti.

Ancora una volta il premio per il peggior sciacallaggio si deve a Marco Travaglio. A parte la violenza del commento e la trasformazione del giornale che dirige, nel proclama al linciaggio, è la menzogna che offende. Nel suo ultimo commento – “hombre vertical” – dopo aver intinto la penna nel veleno, accusa il Ministro della Funzione pubblica di aver nominato “Farina – Betulla” suo “consulente giuridico”, per poi ironizzare sulla “Nuova Meritocrazia Brunettiana”. Reazione che sarebbe stata pure giustificata, se quella fosse stata la qualifica di Renato Farina, ch’era invece semplice consulente per la comunicazione istituzionale. Quindi un giornalista e non un giurista, sempre che Travaglio capisca la differenza.

Ed infine il caso di Folli. Qui a scendere in campo è Giovanni Valentini, che lo accusa di lesa maestà. Ha osato pensare che dietro alcuni attacchi contro il Presidente della Repubblica, da parte del Fatto, vi fosse la mano di Giuseppe Conte e la sua voglia di “andare a votare per evitare lo stillicidio di un altro anno a bagnomaria”. Come se il quotidiano diretto da Marco Travaglio non fosse il megafono dell’ex Presidente del consiglio e di Rocco Casalino. Certe indignazioni a scoppio ritardato sono credibili come le lacrime del coccodrillo. Anche se in fondo bisogna capirli. Grazie a Giuseppe Conte, ed il ruolo passivo di Enrico Letta, pensavano di avere il Paese in mano. Poi è arrivato Mario Draghi ed è venuto loro il mal di testa.

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