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Comunicazione Aziendale

L’ultima parola dell’anno? È “parola”

Il verbificio, la logomachia, la chiacchiera epidemica sono dominanti nella nostra vita rispetto alle cose realmente fatte, nel bene e nel male. Il corsivo di Battista Falconi

 

Se dovessimo scegliere una parola dell’anno, sceglieremo parola. Nel senso che il verbificio, la logomachia, la chiacchiera epidemica sono dominanti nella nostra vita rispetto alle cose realmente fatte, nel bene e nel male.

La stessa “femminicidio”, scelta da Treccani, rientra in questa dinamica: è un neologismo, ormai datato, che ribattezza una tipologia di reato preesistente allo scopo di prestarle maggiore attenzione. Cosa peraltro avvenuta, soprattutto dopo l’assassinio di Giulia Cecchettin, per la concomitanza di molte e non del tutto chiare condizioni, tra le quali la sorella della vittima suggerisce ci sia la “normalità” nella quale il delitto è avvenuto tra due cosiddetti “bravi ragazzi”. E complice senz’altro anche la maggior sensibilità per le questioni di genere, che Libero ha sbeffeggiato titolando una pagina a Giorgia Meloni “uomo dell’anno”. Una scelta che ha prodotto surreali, ulteriori evoluzioni: Giorgio Mulè si è sentito appellare “signora presidente” da una parlamentare che così voleva ribattere al collega reo di aver chiamato Elly Schlein “segretario” del Partito Democratico. Questioni che definire ritrite e stantie è poco, che si trascinano stancamente da moltissimo tempo ma non riescono a morire definitivamente.

È così, le parole continuano a sopravvivere, si alimentano da sole, di se stesse (lo stiamo confermando anche noi nel momento in cui scriviamo queste righe), producendone sempre di più. Nell’illusione che basti alzare il tono, l’enfasi, il superlativo per riuscire a fare ascoltare le nostre almeno un istante. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a uno scambio di accuse relativo alla guerra in Medio Oriente condotto a colpi di “genocida” e “Hitler”. D’altronde, Israele accusata di genocidio in modo ufficiale dal Sudafrica è davvero una nemesi che mai avremmo immaginato.

Tornando al “presidente Meloni”, due commenti speculari dei giorni scorsi focalizzavano – da parte rispettivamente di Ernesto Galli della Loggia e Luca Ricolfi – la modalità molto aggressiva con la quale la leader sostiene le proprie tesi e rintuzza quelle degli avversari e l’incapacità delle opposizioni di uscire dai pregiudiziali tentativi demolitori e denigratori di qualunque iniziativa del governo. Probabilmente hanno ragione entrambi. Ma in entrambi i sensi si tratta di parole molto spesso vuote, alle quali raramente seguono dei fatti.

E non accade certo soltanto in politica. Quante parole abbiamo speso quando un ragazzo ha ucciso un bambino mentre stava guidando durante una “challenge”, una gara di resistenza al volante filmata e postata in diretta sui social media. Non per un gesto di mero, criminale esibizionismo fine a se stesso, si trattava di uno youtuber professionista che in questo modo guadagna (o guadagnava) sembra parecchi soldi. Eppure, dopo l’indignazione generale, adesso si sta andando verso un patteggiamento di 4 anni di pena che potrebbero essere scontati tra domiciliari e servizi sociali, senza nemmeno un giorno di galera. Di questo però si parla molto meno, perché le chiacchiere sono sinusoidali, altalenanti, incostanti.

Lo confermano, sempre in ambito giustizia, i cosiddetti “processi lumaca” che si trascinano, come quello per camorra di cui si è detto nei giorni scorsi, durato più di 20 anni senza arrivare a una sentenza definitiva. E nello stesso tempo si continua a discutere della “svolta telematica” che potrebbe imprimere una minima accelerazione a questo scandalo, senza però che si giunga a cambiare davvero strada. Anzi, secondo alcuni esperti l’arretrato giudiziario, per lo meno civile, sarebbe ormai definitivamente irrisolvibile.

Le parole passano di moda. Per esempio, quelle sulle migrazioni ci hanno accompagnato per gran parte dell’anno e ora sono assai poco illuminate dai media, nonostante che gli sbarchi continuino. Il Ministro degli Interni, come già il Presidente del Consiglio, ammette che su questo fronte il governo non è riuscito a raggiungere gli obiettivi desiderati, consolandosi di aver evitato“l’invasione”. E poi, di quali media parliamo? Esistono ancora i “mezzi di comunicazione di massa”, nel momento in cui le vendite dei giornali crollano e Mediaset annuncia sì un sorpasso sulla Rai, ma avvenuto nel momento in cui entrambe le concorrenti sono soggette a un esodo di spettatori verso piattaforme diverse?

I “pacchetti” della comunicazione sono ormai caotici, personalizzati, anarchici, incontrollabili. Ha ragione lo scrittore Maurizio Maggiani quando chiede di smetterla con lo stillicidio degli auguri inoltrati di cui i nostri telefoni sono sommersi in questo periodo. Appello che fa il paio con il suggerimento di Massimiliano Parente il quale, dichiarando la propria depressione e il rischio di aggravamento nei giorni festive, dice che l’unico modo di superarla a Capodanno è trascorrerlo come un giorno normale, qual è. Magari stando in silenzio.

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