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L’Europa, gli aiuti anti pandemia e i papocchi

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta per Teleborsa

Siamo di fronte al primo ostacolo: gli Stati devono preparare i propri bilanci per il 2021 senza sapere esattamente che fine farà il NGUE (Next Generation Eu), visto che non è stato ancora approvato. Gli Stati possono contare solo sullo schema concordato a luglio scorso tra Consiglio e Commissione, che però non è stato né approvato dal Parlamento europeo né dai singoli Stati. Ed è un pasticcio, visto che nel 2021 dovrebbe essere erogato a ciascuno Stato il 10% dell’ammontare dei “grant” complessivamente assegnati. Rischiamo dunque di spendere risorse che forse arriveranno più tardi e che comunque devono essere finanziate dagli Stati aumentando complessivamente le risorse proprie dell’Unione. Nessuno sa di preciso quanto questo “grant” costerà all’Italia.

Come se non bastasse, c’è un paradosso: nel momento in cui la Unione si presenta sul mercato dei capitali, potendo vantare un rating di AAA, spiazza le emissioni degli Stati come l’Italia che ne hanno uno inferiore. E’ già successo con l’emissione dei prestiti volti a finanziare il SURE: preferendo i titoli europei a quelli italiani, lo spread si è alzato a nostro danno. Praticamente, l’Italia si è creata un concorrente che ci spiazza.

Il caos aumenta, perché si comincia a preoccupare del futuro: la pandemia non durerà per sempre, ma il debito contratto dagli Stati rimarrà un peso ineliminabile.

Sembra impossibile ridurlo con i criteri del Fiscal Compact, che si fonda sul pareggio strutturale e l’avanzo primario che porta ad una riduzione progressiva del rapporto debito/PIL.

C’è chi ha proposto, come ha fatto il Presidente dell’Europarlamento David Sassoli, che la BCE proceda sostanzialmente alla cancellazione dei titoli si Stato acquistati con il PEPP (Pandemic Emergency Purchase Program): ma è una proposta impraticabile con il Trattato attuale, che sin dai tempi di Maastricht fa divieto alla BCE si fornire alcun sostegno finanziario agli Stati. Ed infatti, il PEPP; come già il QE deciso ai tempi di Mario Draghi, viene presentato come uno strumento volto esclusivamente al raggiungimento di un tasso di inflazione “vicino ma non superiore al 2% annuo”. Verrebbe meno uno dei pilastri fondamentali della costituzione monetaria europea, una delle condizioni che consentirono alla Germania di abbandonare il marco per adottare l’euro.

C’è poi la questione del MES, uno strumento inutilizzato, che secondo l’ex presidente del Consiglio Enrico Letta andrebbe smantellato in quanto è ormai un residuo della impostazione seguita per affrontare la crisi del 2010: bisognerebbe sciogliere il Fondo e portare il capitale già versato dagli Stati all’interno della UE, questa avrebbe così la capacità di indebitarsi autonomamente senza dover chiedere agli Stati altre garanzie.

Come se non bastassero tutti questi problemi, il presidente francese Emmanuel Macron ha appena rilasciato una intervista in cui afferma che con la pandemia siamo di fronte ad una “frattura del capitalismo” e che bisogna affrontarne le conseguenze in termini geopolitici: l’Europa si deve dare subito un proprio esercito, rendendosi indipendente dallo scudo della Nato. Anche l’Onu va rifondata.

Insomma, ognuno dice giustamente la sua: l’Unione è un animale misterioso.

A maggio, l’Italia si è rivolta all’Europa per ottenere un aiuto: invece di rafforzare il ruolo dell’Unione, può aver innescato il processo della sua disintegrazione.

(Estratto di un articolo pubblicato su Teleborsa; qui la versione integrale)

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