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ANTISIONISTA

Lettera di Martin Luther King a un amico antisionista

Il Bloc Notes di Michele Magno

“[…]Tu dichiari, amico mio, di non odiare gli ebrei, di essere semplicemente antisionista. E io dico, lascia che la verità risuoni alta dalle montagne, lascia che echeggi attraverso le valli della verde terra di Dio: quando qualcuno attacca il sionismo, intende gli ebrei, questa è la verità di Dio […]. Tutti gli uomini di buona volontà esulteranno nel compimento della promessa di Dio, che il suo Popolo sarebbe ritornato nella gioia per ricostruire la terra di cui era stato depredato. Questo è il sionismo, niente di più, niente di meno […]. E che cos’è l’antisionismo? È negare al popolo ebraico un diritto fondamentale che rivendichiamo giustamente per la gente dell’Africa, e accordiamo senza riserve alle altre nazioni del globo. È una discriminazione nei confronti degli ebrei per il fatto che sono ebrei, amico mio. In poche parole, è antisemitismo” (Martin Luther King, “Lettera a un amico antisionista”, Saturday Rewiew, agosto 1967).

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“Un sistema accusatorio parte dal presupposto di un pubblico ministero che raccoglie e coordina gli elementi della prova da raggiungersi nel corso del dibattimento, dove egli rappresenta una parte in causa. Gli occorrono, quindi, esperienze, competenze, capacità, preparazione anche tecnica per perseguire l’obbiettivo. E nel dibattimento non deve avere nessun tipo di parentela col giudice e non essere, come invece oggi è, una specie di para-giudice. Il giudice, in questo quadro, si staglia come figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti. Contraddice tutto ciò il fatto che, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, giudici e pm siano, in realtà, indistinguibili gli uni dagli altri. Chi, come me, richiede che siano, invece, due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera, viene bollato come nemico dell’indipendenza del magistrato, un nostalgico della discrezionalità dell’azione penale, desideroso di porre il pm sotto il controllo dell’Esecutivo. È veramente singolare che si voglia confondere la differenziazione dei ruoli e la specializzazione del pm con questioni istituzionali totalmente distinte. Gli esiti dei processi, a cominciare da quelli di mafia, celebrati col nuovo rito, senza una riforma dell’ordinamento, sono peraltro sotto gli occhi di tutti”. (Giovanni Falcone, intervista a Mario Pirani, Repubblica, 3 ottobre 1991). Poscritto: “Nemo propheta acceptus est in patria sua” (Luca 4, 24).

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Il papista Marco Tarquinio, il candidato “fiore all’occhiello” nelle liste del Pd alle elezioni europee (copyright di Goffredo Bettini), ha detto che gli “italiani vogliono la pace, chiamare resistenza la guerra è una bestemmia laica” (intervista all’Unità). Quasi quasi divento anticlericale.

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C’è una giornalista, oggi capolista del Pd nella circoscrizione meridionale e, quindi, con un seggio sicuro al Parlamento europeo, che una volta definì quello ucraino un “popolo di badanti e cameriere” (con un suo collega che si affrettò ad aggiungere: “e di amanti”). Sia sempre benedetta la libertà di pensiero, ma, come direbbe Totò, qui si esagera!

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La dottrina della non-violenza ha ricevuto nel corso del tempo interpretazioni disparate. Ma di quale dottrina della non-violenza stiamo parlando? Il presbitero scrittore partigiano Primo Mazzolari diceva che non bisogna confondere la non-violenza con la non-resistenza (“Tu non uccidere”, 1955). Dal canto suo, Gandhi ha sempre distinto la non-violenza come convinzione (“non-violence as a creed”) dalla non-violenza come scelta tattica (“non-violence as a policy”). La prima è quella del forte (o “satyagraha”), che si basa sul rifiuto morale della violenza e che richiede audacia, abnegazione, disciplina e una fede profonda nella bontà della propria causa. La seconda è quella del debole (o resistenza passiva), a cui ricorre chi non si sente abbastanza risoluto da impugnare le armi. Quest’ultima, a sua volta, non va confusa con la non-violenza del codardo, frutto di pura vigliaccheria o di meschini interessi egoistici. Nonostante -scrive nella sua “Autobiografia”- “la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi essa è un atto di coraggio, di gran lunga migliore della codarda sottomissione” (AliRibelli Edizioni, 2019). In tal senso, la posizione del Mahatma, come ben sapeva il Marco Pannella che pure assunse come simbolo dei radicali italiani la sua effigie, non può essere identificata con il pacifismo assoluto di Lev Tolstoj e, li perdoni dall’oltretomba il grande romanziere russo, con quello dei suoi odierni umoristici epigoni domestici, a cui da ultimo si sono aggiunti -udite, udite- Gianni Alemanno e Marco Rizzo. “Tutto il mondo è un palcoscenico, donne e uomini sono solo attori che entrano ed escono dalla scena” (William Shakespeare, “Come vi piace”, atto II, scena VII, 1599-1600). È vero, ma qui da noi si esagera con le controfigure.

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“La storia non sarà gentile con coloro che non hanno lottato per la libertà” (Winston Churchill, maggio 1940).

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