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Festival Del Giornalismo

Letta, il mascariamento e il giornalismo militante

Il corsivo di Teo Dalavecuras   Nonostante l’aura algida in cui si avvolge (o forse proprio per quello), Enrico Letta sa accendere passioni. L’avvento dell’uomo che “non avrebbe dovuto stare sereno” alla guida del Pd ha per esempio scatenato l’entusiasmo del direttore editoriale di Linkiesta Christian Rocca, già e forse ancora brillante articolista a La…

 

Nonostante l’aura algida in cui si avvolge (o forse proprio per quello), Enrico Letta sa accendere passioni. L’avvento dell’uomo che “non avrebbe dovuto stare sereno” alla guida del Pd ha per esempio scatenato l’entusiasmo del direttore editoriale di Linkiesta Christian Rocca, già e forse ancora brillante articolista a La Stampa.

“Si muove bene, benissimo Enrico Letta, confermando ciò che ha detto che avrebbe fatto nel discorso di investitura di domenica”, ha esordito Rocca. Certo, se avesse già cominciato a contraddirsi tre giorni dopo l’elezione all’unanimità di domenica, una lieve perplessità sarebbe stata giustificata, ma non è solo questa oggettivamente scontata coerenza a motivare l’entusiasmo.

C’è, già nel titolo, la nomina di Irene Tinagli, giovane progressista transnazionale, economista, “organica” del Pd da sei anni dopo precedenti esperienze con Walter Veltroni, Luca Cordero di Montezemolo e Mario Monti. Il principale motivo di entusiasmo è però un altro, anzi sono altri due.

Il primo è la coincidenza con queste prime, a quanto pare indovinate mosse di Letta, della decisione di Joe Biden “esponente della stessa famiglia democratica di Letta & co” di dare del killer a Vladimir Putin (ciò che peraltro quasi tutta la grande stampa occidentale fa, magari con minore incontinenza verbale, da anni).

Della seconda buona notizia il mondo liberaldemocratico sarebbe debitore al Tribunale di Milano che “smonta l’ennesima campagna forcaiola contro una grande azienda di Stato e di mercato, l’Eni, e di mascariamento dei suoi manager, perché il fatto non sussiste. E non solo il Fatto, peraltro, ma anche la Gabanelli, La7 e tutto il cucuzzaro”.

La felice concomitanza del ritorno sulla scena politica di Letta con i due eventi anzidetti segnerebbe la definitiva rotta del populismo sovranista (o sovranismo populista?) in Italia. Legittimo giubilo di chi ne fa parte, del ritorno della “famiglia” liberaldemocratica al comando in America e in Italia (come se mai se ne fosse allontanata davvero).

C’è, però, modo e modo. Premetto che non ho grande simpatia per Milena Gabanelli, come in generale per i professionisti che avvolgono in troppa prosopopea il loro lavoro (benché sia di regola un ingrediente del successo, come tale legittimo, almeno strumentalmente); de Il Fatto non ho un’opinione perché da anni non è tra le mie letture; La7 non mi pare così diversa dagli altri canali generalisti, pur con un più marcato debole per il grillismo.

Fatte tutte queste premesse, rimango senza parole quando leggo di “mascariamento”. Sempre che regga questo sostantivo, il verbo “mascariare” sta per “calunniare”, che vuol dire accusare qualcuno di un delitto pur essendo consapevoli dell’infondatezza dell’accusa: a sua volta un delitto particolarmente grave, odioso se consumato da addetti all’informazione.

Ai bersagli di questa accusa mi permetto di fornire un consiglio non richiesto ma gratuito: lascino perdere le querele per diffamazione che in Italia di solito sono pura perdita di tempo e che il direttore di Linkiesta non può non avere messo in conto. Meglio una sfida a duello, purché incruenta (magari a contumelie).

Quanto all’autore della sorprendente accusa – sorprendente quanto meno per chi conosce la prosa, certo brillante ma solitamente composta, di Rocca – vedo solo due possibili spiegazioni: 1. La reazione eccessivamente entusiastica alla forse inaspettata felice conclusione della crisi al vertice del Pd. 2. Il generoso sforzo di contagiare i lettori con il proprio entusiasmo. Giornalismo militante, diciamo così.

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