Pecunia non olet. Il celeberrimo adagio latino si attaglia bene all’atteggiamento del vicepremier Matteo Salvini. Che ieri, mettendo piede su un suolo che un tempo riteneva nemico, quello del Qatar, ha compiuto – in nome dei sovrani interessi nazionali – una vera e propria giravolta, portando gli (un tempo impensabili) ossequi suoi e del governo di cui è azionista all’emiro S.A. Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, al primo ministro e ministro dell’Interno, S.E. Sheikh Abdullah bin Nasser bin Khalifa Al Thani, e al vice primo ministro e ministro degli Esteri, S.E. Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani.
La visita a Doha del ministro degli Interni è la nuova tappa del suo personalissimo tour geopolitico. Una tappa importante, liquida come i petrodollari che scorrono a fiumi nel territorio dell’Emirato e da lì prendono la via dei Paesi occidentali, terra di investimento e conquista per facoltosi sceicchi e magnati degli idrocarburi.
Ma l’Occidente, e l’Italia, sono anche la meta di altri flussi provenienti da Doha. Quelli che servono ai musulmani d’Occidente per aprire e costruire moschee e centri islamici, che l’Emiro e le istituzioni e fondazioni alimentate con i proventi delle esportazioni energetiche finanziano generosamente.
Il sostegno del Qatar ai progetti islamici in Europa è stato, fino a poco tempo fa, oggetto degli strali dell’attuale vicepremier Salvini. Che, quando indossava i panni del leader dell’opposizione, ha più volte denunciato le ingombranti ingerenze di Doha negli affari politici e sociali del Vecchio Continente, additando il Qatar come possibile, anzi sicuro, sponsor del terrorismo.
“Basta finanziamenti dai Paesi arabi per finanziare la costruzione di nuove moschee. Arrivano in Italia 18 milioni all’anno da Turchia, Qatar e Arabia Saudita: soldi che nessuno può garantire non siano utilizzati per favorire lo sviluppo del terrorismo“, tuonava Salvini nell’agosto 2016 illustrando i contenuti di un disegno di legge ostile presentato alla Camera dal fedelissimo Guido Guidesi. Il ddl, che recava “Disposizioni concernenti il finanziamento e la realizzazione di edifici destinati all’esercizio dei culti ammessi”, metteva nel mirino la Qatar Charity Foundation, nata per sostenere la creazione di luoghi di culto in tutta Europa, Italia inclusa. Per il futuro Capitano della Lega di governo, quella a firma Guidesi era “l’unica legge depositata in Parlamento che regolamenterà la pericolosa radicalizzazione dell’Islam sui nostri territori”. Chiaro.
Un anno più tardi, quando il calendario segnava il 5 di giugno, Salvini entrava a gamba tesa nella disputa che separa da allora il Qatar dall’Arabia Saudita e altre potenze arabe, che accusano Doha di sostenere il terrorismo, di spalleggiare movimenti islamisti radicali come i Fratelli Musulmani – acerrimi nemici dell’establishment religioso e politico saudita – e di indulgere in altre nequizie. Accuse che spinsero l’Arabia Saudita e i suoi alleati a imporre un embargo nei confronti del Qatar, a tutt’oggi in piedi. “Nel giorno in cui perfino l’Arabia Saudita sospende le relazioni con il Qatar perché fiancheggia i terroristi”, osservò quel giorno Salvini, “noi vogliamo sapere in tutta Italia chi dà i soldi e per fare cosa”. Il futuro inquilino del Viminale auspicava quindi l’immediata istituzione di “blocchi e controlli anche in Italia e in Europa sugli ingressi, i fondi e gli investimenti provenienti dal Qatar”.
Acqua passata. Oggi, con Salvini saldamente al timone di un governo bramoso di assicurarsi investimenti e linee di credito, il Qatar non ha più il volto minaccioso di una Spectre islamista che muove i fili di una cospirazione globale, ma è un prezioso partner economico e commerciale dell’Italia sovranista. Complice della conversione salviniana sulla via di Damasco sono stati, assai probabilmente, i dati sull’interscambio (+ 8.7% nell’ultimo anno) e i contratti miliardari siglati con Leonardo (ex Finmeccanica), nel marzo di quest’anno, per la fornitura di elicotteri e quello del 2016 per la fornitura alla Marina militare qatarina di sette unità navali prodotte in Italia.
Tanto basta, al vicepremier, per dichiarare ieri da Doha che il Qatar “non è più punto di partenza e sponsorizzazione di estremismi e fanatismi”. L’Emirato, al contrario, “si sta distinguendo per un certo equilibrio rispetto agli estremismi mostrati in questi giorni da Paesi (come) l’Arabia Saudita”. “Vi dico”, ha sottolineato Salvini, “che ho trovato un Paese stabile e sicuro dove l’estremismo islamico non ha futuro”. E le moschee? “Il Qatar”, ha osservato il vicepremier, “è il Paese con il reddito pro capite più alto al mondo: se si stacca come sta facendo il nuovo emiro, dal finanziamento di alcune moschee e centri islamici che propagandavano l’estremismo, è un bene per tutti”.
Salvini non ha dubbi: “Da qua passano milioni di posti di lavoro per gli italiani”. In Qatar “ci sono tante opportunità per le imprese italiane”, nota il ministro, che rileva anche la “tanta voglia di investire” dei fondi qatarini “in imprese italiane, dalla moda all’alimentare al bello”. A Doha, giura il leader del Carroccio, “il made in Italy è amato“.
L’infatuazione di Salvini per il Paese che cela, nel sottosuolo, colossali riserve di gas è completo. “Qui in Qatar ho trovato un Paese che cresce, che accoglie, che ha voglia di lavorare con l’Italia”. Il ministro non ha dubbi: “Questa è la partnership commerciale e culturale che mi interessa. I margini di crescita sono incredibili e sono convinto”, aggiunge, “che possiamo fare meglio dei francesi, tedeschi e inglesi”.
Nella mente del vicepremier non ci sono solo gli investimenti qatarini in Italia. Al nostro Paese, i soldi di Doha possono fare anche un altro piacere: bloccare “a monte” l’immigrazione per contenere la quale tanto si sta spendendo il titolare degli Interni. “Annuncio un’iniziativa che farà ridere i Saviano, i Gad Lerner e le Boldrini e che prevede investimenti per permettere” ai giovani africani “ di lavorare, studiare e curarsi nelle loro terre. Con fondi ghanesi, qatarini e italiani faremo un progetto, non di solidarietà tanto per fare, ma di sviluppo vero e proprio”.
La riabilitazione del Qatar passa, anche, attraverso la partecipazione dell’emirato alla Conferenza sulla Libia in programma il 12 e 13 novembre a Palermo. Recare personalmente l’invito alle autorità qatarine rientrava negli obiettivi della missione salviniana nel Golfo. “Abbiamo concordato”, esulta Salvini, “su come stabilizzare la Libia e ci sarà la presenza importante del Qatar alla conferenza (di) Palermo”. Il cerchio si chiude.
Il corteggiamento del governo italiano nei confronti dell’ex paria qatarino non termina qui. L’emiro Al Thani ricambierà la cortesia visitando l’Italia i prossimi 27 e 28 novembre. Sarà l’occasione per finalizzare gli accordi che tanto premono al nostro ministro degli Interni. Pecunia non olet?