il dibattito pubblico è spesso impegnato in altre questioni, esiste un tema di fondamentale importanza che emerge a rilento: i nuovi equilibri europei in materia di sicurezza, difesa, alta tecnologia industriale. È un tema che affiora attraverso gli articoli di Claudio Antonelli (uno dei giornalisti italiani che meriterebbe veramente un premio, al di là delle opinioni), o per l’attenzione di Guido Crosetto. Roba da amatori, insomma.
Per comprendere l’importanza di questo processo, non bisogna inventare entità bislacche come “l’impronta” di Ursula von der Leyen per la sua esperienza, deludente, nella difesa tedesca. Il crescente rilievo della sicurezza nella tecnologia, figlio della profondità dello scontro tra Pechino e Washington, non può che rafforzare la potenza europea della sicurezza e della difesa: la Francia. Parigi ha avanzato e avanzerà una politica di aggregazioni industriali tecnologiche e di presenza nella nuova corsa allo spazio. Ragionerà come sempre al di là dell’efficienza economica, anche commettendo errori. Riterrà strumentali le politiche della concorrenza. Cercherà in sostanza di avere soldi tedeschi per strategie francesi. Non è un giudizio di valore o di simpatia: è una traduzione industriale del concetto di “sovranità europea” di Macron, che risale in realtà alle idee di Jean-Jacques Schreiber cinquant’anni fa o di Bernard Esambert, creatore del concetto contemporaneo di “guerra economica”.
Questo processo investe anche l’Italia e la sua capacità, per dirla con un intenditore della Francia come Cuccia, di “giocare con le carte che abbiamo in mano”. Che sono tre: gli investimenti – troppo scarsi, da troppo tempo – nella ricerca e nel trasferimento tecnologico; gli asset che ci sono rimasti; la capacità negoziale di cui difettiamo. L’applicazione dei poteri speciali, come ho spesso sottolineato su Limes, in Italia ha mostrato alcuni nodi del rapporto con la Francia sull’alta tecnologia, contribuendo a un grande calderone di “Macron è il nostro dio Giove / Macron fa schifo” una miopia leaderistica che non ha dato apporti positivi ai rapporti tra Roma e Parigi.
È chiaro che il nodo attuale, e del futuro, riguarda le prospettive di Fincantieri e Leonardo (ex Finmeccanica), e il rapporto tra i due attori. Il primo al centro dei dissidi e della rivendicazione realistica degli accordi con Parigi, il secondo finalmente in grado di rafforzare il proprio management, con innesti importanti nel campo della sicurezza e della tecnologia. La potenzialità italiana di giocare un ruolo in questo nuovo scenario dipenderà quindi anche dalla capacità di non incartarsi nel rapporto tra le nostre punte di diamante, considerando le nostre storiche debolezze dimensionali, di capitali privati, di litigiosità interna. Non sarà facile, ma è essenziale.