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Perché Salvini e Giorgetti troveranno la quadra nella Lega

La nota di Paola Sacchi.

 

A dispetto del coro mainstream, secondo il quale “la tregua tra Matteo Salvini e Giancarlo Giorgetti durerà fino all’assemblea programmatica dell’11 e 12 dicembre” – il grande e inedito appuntamento di tutta la Lega, sindaci compresi, che il segretario federale ha chiamato “il congresso delle idee”-, con molta probabilità ha ragione Roberto Castelli.

L’ex ministro della Giustizia, un leghista autorevole, nonostante sia ora “un militante”, in alcune interviste si è detto sicuro: “Matteo e Giancarlo” troveranno la quadra. Castelli sa bene che nella Lega di ieri e di oggi, nonostante siano profondamente cambiate molte cose e Salvini l’abbia resa nazionale  portandola a cifre un tempo inimmaginabili, nonostante convivano varie sensibilità, una regola è rimasta la stessa: decide il leader, “la Lega non è nata per avere correnti”. Come ha ricordato Salvini.

Giorgetti, pur ribadendo la sua posizione favorevole all’ingresso nel Ppe,  posizione che aveva già espresso seppur con toni meno fragorosi di ora un anno fa alla convention leghista a Catania, ha con tutto il Consiglio Federale rinnovato, come si sa, la fiducia a Salvini e ricordato “la Lega è una sola, è casa nostra”. Questo fatto che in Lega decida il leader, che fa la sintesi (Salvini: “Ascolto tutti e decido”) in Via Bellerio o nella Sala Bruno Salvadori del gruppo leghista alla Camera, è rimasto un po’ come un totem. Tant’è che lo stesso Castelli si stupisce che Giorgetti, leghista che le regole della casa le conosce a menadito, abbia scelto certe modalità pubbliche sui media per manifestare in modo così vistoso, affidandolo al libro di Bruno Vespa, il proprio dissenso sulla collocazione in UE. Cosa per le cui modalità poi il ministro dello Sviluppo economico, come si sa, si è scusato con il leader, di cui è vicesegretario, con Lorenzo Fontana e Andrea Crippa.

Ma non è solo la polemica sulla collocazione in UE che a Salvini non è piaciuta, alla quale ha contrapposto quella che ora è la linea di tutta la Lega e cioè la formazione di un nuovo gruppo in Europa del centrodestra, “Un grande gruppo conservatore e identitario”, che non è “subalterno alla sinistra del Pse”, come ora lui vede “un Ppe molto debole”. A quella pizza di Giorgetti con Luigi Di Maio Salvini ha risposto dopo il Federale dando una frecciata al suo vicesegretario: “Ora vado a casa a mangiare, senza pizza e senza Di Maio”. Evidente che, anche in vista dell’elezione del Capo dello Stato, Salvini non possa ammettere eventuali regie (ammesso che anche di questo i due abbiano parlato) parallele tra un suo ministro e un altro di un partito avversario politico. Perché “il governo Draghi è un governo di emergenza nazionale” di fronte alla pandemia, per poi riprendere lo schema della competizione  bipolare per le Politiche. Per le quali il leader leghista vuole la vittoria di un centrodestra “liberale e conservatore”. La linea del segretario federale, come si vede, alla fine mette d’accordo i salviniani di rito più stretto, leghisti storici e governatori come Luca Zaia, che, nonostante la vulgata mainstream, è sceso in campo a favore di Salvini. L’ultraplebiscitato presidente del Veneto, per chi conosce un po’ di storia leghista, è stato sempre leale con tutti i leader, dal fondatore Umberto Bossi a Roberto Maroni.

Zaia è ben consapevole peraltro del fatto che Salvini, conscio del valore del governatore del Veneto, andò alla resa dei conti, vincendola, con Flavio Tosi che avrebbe voluto invece candidarsi lui. Non sono storie lontanissime. Problemi per la Lega e soprattutto per tutto il centrodestra restano, come quello della rimessa a punto dell’offerta politica di tutta la coalizione. Ma, intanto, fioriscono congressi di carta sulla Lega. “Proprio perché attraverso la Lega, che ne è il perno, stanno cercando da sinistra di mettere K.O. tutto il centrodestra”, acutamente osservava con la cronista nella nota di ieri un leghista storico.

E Salvini questa mattina, alla scuola di formazione politica di Armando Siri: “Gli italiani hanno bisogno di soluzioni concrete su sviluppo, crescita, denatalità, riforma della giustizia, non seguono formule sull’Europa”. Quindi, ribadisce “se inseguiamo la sinistra, il politically correct, abbiamo perso”. “Io (in Ue, ndr) entro dove c… voglio”, ha chiosato.

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