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Berlusconi

Lega, che cosa (non) succede fra Salvini e Giorgetti

Le differenze e le sensibilità diverse in un grande partito come la Lega ci sono e ci sono sempre state, anche all'epoca della Lega Nord di Umberto Bossi. Il corsivo di Paola Sacchi

 

In quel gigantesco frullatore delle notizie che è l’eccitato combinato disposto social e talk è passata inosservata la notizia che Matteo Salvini non molto tempo fa aveva già parlato di un’ipotesi di Mario Draghi al Colle, con un governo simil-Draghi, senza dover necessariamente andare subito a Politiche anticipate. E questo non solo per il completamento dell’opera iniziata dall’esecutivo di emergenza (e non unità) nazionale di cui la Lega è azionista di peso, ma anche per la un po’ più prosaica ragione che i parlamentari sarebbero allergici al voto prima del settembre 2022 quando matureranno la pensione.

Salvini certamente non ha motivato questa ipotesi, la stessa di Giancarlo Giorgetti, allo stesso modo di quest’ultimo con la formula del “semipresidenzialismo de facto”. Ognuno usa in politica linguaggio e suggestioni che gli sono più consone.

Tutto questo non per dire che tra il leader leghista e il ministro dello Sviluppo economico non ci siano differenze o comunque da sempre sensibilità diverse soprattutto su temi come la collocazione in Europa, dove comunque Salvini ha detto e ridetto che intende creare un nuovo gruppo di centrodestra “con il meglio del Ppe, dei Conservatori e Identità” per una differenziazione dal Pse. Ma solo per osservare che da qui a celebrare una sorta di congresso leghista mediatico, tipo film Western, quelli nei quali Giorgetti vedrebbe Salvini, a base di ingredienti del nuovo, sicuramente molo interessante, libro di Bruno Vespa, forse è troppo.

Le differenze e le sensibilità diverse in un grande partito come la Lega ci sono e ci sono sempre state, anche all’epoca della Lega Nord di Umberto Bossi, fondatore e leader “padre, padrone”, detto senza accezione negativa, solo perché era un fatto. Figuriamoci ora che la Lega nazionale di Salvini è diventata un grande partito da Nord a Sud, oscillazioni al minuto dei sondaggi permettendo.

Resta il fatto che la linea, la sintesi finale in Lega la fa Salvini. Come in Via Bellerio è tradizione da sempre. Perché, anche se questo non va di moda nell’informazione mainstream, “I voti li ha lui, Salvini”. Cosa che in questi giorni ti continuano a dire tutti, come da sempre, dal leghista storico al nuovo eletto nel Centro-Sud. E che lo stesso Giorgetti esponente leghista storico e di peso, essendo tutt’altro che uno sprovveduto, sa molto bene.

Tant’è che non è difficile da immaginare che lo ricordò allo stesso Draghi. Quando quest’ultimo riconobbe, probabilmente per ragioni tattiche, che in Lega la sintesi politica la fa il leader. Ora, non è difficile da immaginare neppure che certe uscite di Giorgetti come quella su Carlo Calenda o le ultime sul fatto che non si sarebbe ancora del tutto “istituzionalizzato” non siano state esattamente musica alle orecchie di Salvini.

Ma da qui a scrivere che il leader leghista avrebbe convocato una riunione del consiglio federale, proprio in seguito alle affermazioni di Giorgetti, una volta così riservato da essere oggetto di battute bonariamente ironiche tra gli inviati legologhi, è probabilmente un po’ esagerato. Forse appartiene a quella telenovela mediatica mainstream che va “in onda” sulla Lega da anni.

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