“Genocidio contro gli uiguri“. E’ stato questo l’ultimo ceffone anti Cina di Donald Trump prima di uscire di scena e lasciare spazio al neo presidente Joe Biden. “Il genocidio è in corso e stiamo assistendo al sistematico tentativo della Cina di distruggere gli uiguri”, afferma il segretario di stato, Mike Pompeo, secondo quanto riporta il New York Times.
Gli Stati Uniti sono il primo Paese al mondo ad adottare il termine “genocidio” per descrivere le violazioni dei diritti umani nello Xinjiang.
In una nota firmata da Pompeo nell’ultimo giorno dell’amministrazione Trump, si legge che la campagna di “internamenti di massa, lavori forzati e sterilizzazioni coatte” da parte della Cina nei confronti di un milione di musulmani uiguri nella regione dello Xinjiang, nel nord-ovest della Repubblica popolare, costituisce “un genocidio” e “un crimine contro l’umanità”.
“Dopo un attento esame di tutti i fatti disponibili, ho determinato che almeno dal marzo del 2017 la Repubblica popolare cinese, sotto la direzione e il controllo del Partito comunista cinese, ha commesso crimini contro l’umanità nei confronti degli uiguri e di altri membri dei gruppi etnici e religiosi minoritari nello Xinjiang”, è scritto.
Non è stata l’ultima mossa trumpiana prima di lasciare la Casa Bianca.
Il presidente uscente degli Stati Uniti Donald Trump ha infatti concesso la grazia 73 persone, tra cui – come preannunciato – il suo ex consigliere Steve Bannon.
Poco prima di lasciare il suo incarico, “il presidente Donald J. Trump ha concesso la grazia a 73 persone e ha commutato le condanne di altre 70”, ha reso noto la sua amministrazione in una nota.
Bannon è stato uno dei più taglienti esponenti trumpiani che ha caldeggiato le politiche anti Cina.
Emblematiche le frasi di Bannon che si rintracciano nel capitolo “Lo sharp power visto da vicino: il punto di vista di Steve Bannon” del libro “L’Era dello sharp power” (Egea) scritto da Paolo Messa, fondatore ed editore di Formiche e top manager di Leonardo in attesa di andare a rappresentare l’ex Finmeccanica negli Usa “ai vertici di Leonardo Us”, secondo le indiscrezioni di Gianni Dragoni del Sole 24 Ore ” dopo essere stato direttore Relazioni Istituzionali Italia del gruppo attivo nell’aerospazio e nella difesa.
“La Cina è un regime totalitario, aggressivo, mercantilista, sostenuto da un apparato comunista che gioca solo con le sue regole. Non ne faccio una colpa a Xi, ma a chi gli ha permesso di fare quello che vuole. Trump l’ha capito subito”, disse Bannon nell’intervista rilasciata a Messa per il libro.
Di seguito un brevissimo estratto dell’intervista tratto dal libro di Messa.
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Lo sharp power visto da vicino: il punto di vista di Steve Bannon
Steve Bannon è senza dubbio una delle personalità più controverse di questo tempo. Guru e stratega della campagna elettorale di Donald Trump e suo consigliere alla Casa Bianca nei primi mesi del mandato presidenziale, è considerato l’ideologo di riferimento di un più largo movimento sovranista anche in Europa. È stato a Roma a fine maggio e lo abbiamo incontrato con Francesco Bechis. La conversazione, dedicata ai temi affrontati in questo volume, è rimasta inedita. La proponiamo qui, nella convinzione che possa aggiungere un ulteriore punto di vista al dibattito e al confronto.
Steve Bannon, il soft power è ancora una valida chiave di lettura per leggere il nuovo ordine globale?
Nelle relazioni internazionali il potere può assumere varie forme, c’è uno spettro continuo dal soft power all’hard power. In questo momento prevale una via di mezzo: lo sharp power.
Ci spieghi meglio.
Oggi la guerra si può fare in tanti modi. C’è la guerra informativa, quella economica e quella fatta con un fucile in mano. Lo sharp power riunisce tutte e tre le dimensioni. Stati Uniti e Cina per esempio sono nel bel mezzo di una guerra informativa ed economica. Da quindici anni gli States devono fare i conti con un’offensiva commerciale della Cina, le cui politiche mercantilistiche hanno gravemente danneggiato il lavoro e la crescita americana. È grazie a ciò che la Cina è riuscita a fare agli Stati Uniti con l’aiuto delle élite americane che Donald Trump è diventato presidente.
La Cina di Xi Jinping è pronta a diventare l’unica superpotenza globale?
Di questo sono convinte le élite finanziarie mondiali, gli uomini di Davos. Xi Jinping è andato a Davos a difendere la globalizzazione, il libero commercio, la protezione dell’ambiente. Sa qual è il bello?
Cosa?
Gli uomini di Davos gli hanno creduto perché vivono nel paese delle meraviglie. Nel 2018 Xi ha parlato a Davos tre giorni prima del discorso inaugurale di Donald Trump. Ogni riga del suo intervento era una bugia assoluta. Ma gli uomini di Davos ci hanno creduto, perché fanno tanti di quei soldi grazie alla Cina da saltellare e danzare felici anche di fronte a queste bugie. Queste sono le persone con cui hai a che fare: le élite scientifiche, manageriali, ingegneristiche preferirebbero andare a letto con un dittatore totalitario come l’imperatore Xi piuttosto che stare dalla parte del popolo.
Perché allora vede la Cina come una minaccia per gli Stati Uniti?
La Cina è un regime totalitario, aggressivo, mercantilista, sostenuto da un apparato comunista che gioca solo con le sue regole. Non ne faccio una colpa a Xi, ma a chi gli ha permesso di fare quello che vuole. Trump l’ha capito subito. Se la Cina è arrivata dove è ora dobbiamo ringraziare le élite occidentali che da brave cheerleaders si sono dette: «Se la Cina rimarrà nell’Organizzazione Mondiale del Commercio e continuerà a crescere diventerà uno Stato liberaldemocratico, capitalista, favorevole al libero mercato». Queste persone sono sparite, oggi tutti sanno che era uno scherzo. Poi ci sono gli intellettuali accomodanti e razionali, sicuri che l’America sia una potenza in declino e che la Cina sia una potenza in ascesa. Per loro l’unica soluzione è farsi furbi, spingere i cinesi a mostrare il loro lato migliore e accettare di conviverci da junior partners.