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Le sfide (possibili) del centrodestra dopo la batosta delle amministrative

Perché il centrodestra esce sconfitto alle comunali e come può organizzarsi per le elezioni politiche. La nota di Paola Sacchi

 

Dopo le Amministrative del 1993, nelle grandi città, il centrosinistra esultò troppo presto, vincendo su una platea un po’ ristretta, nel senso che era troppo sbilanciata a sinistra, senza mettere in conto dove fosse finito il centro di allora. Tant’è che la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto fu letteralmente travolta l’anno dopo nel ’94 dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi, che mise in campo la prima versione di centrodestra, con la Lega al Nord e Gianfranco Fini al Sud. Ed è quindi vero tornando all’oggi che il Pd e la sinistra vincono pur importanti sfide, come quella di Milano con Beppe Sala, per la prima volta affermandosi al primo turno, ma che la platea resta sempre un po’ ristretta per via del forte astensionismo. Non sono Amministrative, ma ad esempio alle Suppletive a Siena Enrico Letta vince con un terzo degli elettori.

È passato un “secolo” in politica da quel ’93, di cui parlavamo all’inizio, non si vedono all’orizzonte nuove inaspettate discese in campo come quella del Cav, il centrodestra è una realtà ormai consolidata di questo Paese, tuttora maggioranza, tuttora al governo della stragrande parte delle Regioni. Ma, pur non governando già in partenza nessuna delle città andare ieri al voto, come ha onestamente ammesso subito Matteo Salvini, è “stato sonoramente sconfitto: non me la prendo con gli alleati, non me la prendo con gli elettori che non sono andati a votare, non me la prendo con i candidati”. Anche se occorre ricordare che la partita sia a Roma che a Torino, dove si andrà al ballottaggio, non è affatto chiusa.

La Lega di Salvini, la cui leadership era stata data per finita dal mainstream, ha 50 sindaci in più in piccoli e medi centri, ma – come ha riconosciuto con nettezza il “capitano”, a “Porta a Porta” da Bruno Vespa – “non li posso certo scambiare con Milano”.

Candidati scelti troppo tardi, poco conosciuti, troppe discussioni nella coalizione con un problema chiave, però, un problema che sta alla base di tutti i guai del centrodestra: ovvero una leadership non riconosciuta. Cosa che non potrà non aver contribuito a disorientare e favorire l’astensionismo di elettori già provati anche economicamente dalla pandemia.

Certamente, il centrodestra ha un problema di classe dirigente e di proposta, da focalizzare di più come ha detto lo stesso Salvini, su tasse pensioni, lavori, sblocco della burocrazia, ma la leadership non riconosciuta è forse il tema chiave. Cosa alla quale ovviamente il leader di Via Bellerio neppure ha fatto cenno. Ecco, se è vero che vige sempre la regola, confermata dallo stesso Berlusconi all’uscita dal seggio, quando ha riproposto il partito unico, che leader e poi candidato premier è chi ha preso più consensi, difficile immaginare che, al di là delle infinite discussioni su chi è il centro su chi è il vero federatore, l’elettore comune, fuori da tutto ciò, non si sia chiesto perché il riconoscimento non sia stato formalmente mai riconosciuto al leader leghista.

E questo a fronte di dati reali, non di sondaggi, a cominciare dal risultato delle Politiche del 2018 che vide il sorpasso della Lega su Forza Italia. Si possono accampare mille ragioni sul presunto scarso europeismo di Salvini, che già da tempo però gli slogan anti-euro li aveva rottamati, si può tirare in ballo il cosiddetto “sovranismo”, che forse non ha più ragione per un nuovo contesto internazionale di esser definito così, si può imputargli il mancato ingresso ancora nel Ppe, che però in Europa è alleato dei socialisti.

Salvini, che ha sempre ribadito negli ultimi anni di essere per un ‘Europa dei popoli, politica e non tecnocratica, in cui si difenda il nostro interesse nazionale, è stato a pochi giorni dal voto colpito da quello che è stato denunciato come un “agguato” alla vita privata del suo ex social manager, Luca Morisi.

Ma tutto ciò, questo andare nel centrodestra avanti così per ordine sparso, senza fissare il paletto sulla leadership, ha poi portato a uno sfilacciamento dell’immagine pubblica della coalizione che ha alimentato inevitabilmente competizioni interne. Come quella pur legittima di Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d’Italia, anche lei colpita a poche ore dal voto da una cosiddetta inchiesta giornalistica su presunte “bande nere” nel partito.

Giorgia ieri ha rivendicato giustamente il fatto di aver superato la Lega in realtà come Bologna dove però sembra che il centrodestra sia destinato per un bel po’ a stare all’opposizione, oppure a Trieste e in altre realtà. Fino ai risultati di ieri sera però Fdi, seppur a poco più di un punto sotto, non è riuscita a fare il sorpasso in realtà altamente simboliche come Milano e Torino. Fdi è poi nettamente superiore alla Lega a Roma, però nella capitale questa non è una novità.

Ma è questo, solo una tornata di pur importanti Amministrative, pur dando atto a tutta la bravura di Meloni, il vero metro per stabilire la leadership del centrodestra? E in tutto questo sembra non tenersi nel debito conto il particolare fondamentale che la Lega paga il suo prezzo per aver responsabilmente deciso di far parte del governo di emergenza nazionale di Mario Draghi. Scelta che Salvini ha assolutamente confermato anche ieri. Salvini è poi da sempre sotto tiro anche da parte di settori di Forza Italia, che hanno fatto archiviare per ora il suo progetto di federazione di centrodestra di governo, che lo accusano di essere un giorno estremista, un altro giustizialista o populista. Senza tener conto però che ha avuto il coraggio di imbracciare, compiendo un’altra svolta nella storia del suo partito, la bandiera del garantismo con i referendum sulla giustizia insieme si Radicali, che comprendono anche quella separazione delle carriere da sempre cavallo di battaglia di Berlusconi.

Salvini per la prima volta con la sottoscritta, in una intervista per Startmag, il 19 luglio scorso, ha anche riconosciuto il merito di Bettino Craxi “per le cose che ha avuto il coraggio di fare”. Ieri Forza Italia con Roberto Occhiuto ha avuto una ottima, netta, oltre il 53 per cento, affermazione in Calabria e questo anche con una buona performance della Lega in terre a lei non usuali. Purtroppo però Milano ha registrato per FI una perdita notevole di quasi il 14 per cento, quasi un partito nel partito, dal 21 di 5 anni fa a poco più del 7 di ieri. E questo appunto, proprio a Milano.

Partiti unici o no, progetti di perenne ricerca di un centro, che però ormai più che da aree politiche tradizionali di antica memoria è costituito dalle richieste pragmatiche del ceto medio di abbassamento della pressione fiscale, immigrazione controllata, sburocratizzazione, riforma del codice degli appalti, su quali numeri reali passano, si fondano questi progetti se si sgretola il perno della coalizione che è la Lega nazionale di Salvini?

Una Lega, per sua stessa natura partito molto più trasversale di FdI, una Lega che se si dovesse ritirare al Nord, tornando a una cifra, come vorrebbe la sinistra, sarebbe un serio problema anche per gli stessi alleati? Non a caso ieri Salvini ha confermato il progetto di Lega nazionale pur ribadendo la validità dell’autonomismo.

Il centrodestra, dove è imprescindibile la figura del suo fondatore Berlusconi, anche per quei rapporti di politica estera che Salvini gli ha sempre riconosciuto, ha ancora grandi possibilità di vincere e tornare alla guida del governo. A meno che non si attorcigli, senza accorgersene, agli occhi degli italiani, più che su programmi, progetti, visioni del futuro, in discussioni estenuanti, autoreferenziali come quelle che una volta scuotevano inutilmente l’Unione prodiana e l’Ulivo, con sempre al centro la stucchevole domanda su chi fosse il leader.

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