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Gazprom

Le furbizie putiniane di Gazprombank

L'articolo di Tino Oldani per Italia Oggi

Sui media dei paesi dell’Occidente capita sovente di leggere pareri opposti sulle sanzioni economiche decise contro la Russia. Per alcuni sono un’arma efficace per indebolire Vladimir Putin e costringerlo a trattare. Per altri, sono sanzioni groviera, piene di buchi e scappatoie, grazie alle quali Putin può continuare a incassare miliardi in cambio di gas e petrolio, finanziare l’aggressione militare, radere al suolo le città del Donbass, uccidere civili, deportare gli sfollati in Siberia e meritarsi ogni giorno di più l’appellativo di criminale di guerra. E rispondere sempre che «non è ancora il tempo» per parlare di pace.

Già, il tempo. Siamo al quinto mese di guerra, e finora Stati Uniti e Unione europea hanno varato ben sei pacchetti di sanzioni. Ma, a quanto pare, ne serve un settimo, e alla svelta: i leader ucraini lo chiedono di continuo perché i precedenti sei non hanno funzionato come si voleva, soprattutto nel lasso di tempo più breve possibile. Anche per questo si profilano tempi lunghi per la guerra, con ricadute economiche devastanti per le economie di tutti i paesi europei: i rincari delle fonti di energia, gas in testa, da un lato riempiono le casse di Putin, e dall’altro spingono l’inflazione a un livello (8%) che non si vedeva da 36 anni. Così, forse per attutire la botta, a Bruxelles c’è chi invita ad avere fiducia nelle sanzioni, perché tra non molto, al massimo qualche mese, avranno successo. Ma, sempre dal fonte occidentale, alcune ricerche sul merito delle sanzioni giungono a conclusioni opposte. E non è un bel vedere.

Tra gli ottimisti sull’efficacia delle sanzioni, spicca Josep Borrell, alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la sicurezza, che in un intervento sulla Stampa sostiene che «Putin sarà costretto a scegliere tra pane e cannoni», poiché «le sanzioni lo chiudono in una morsa che si sta progressivamente stringendo». Certo, ammette Borrell, la Russia esporta molte materie prime, ma è anche costretta a importare molti prodotti ad alto valore aggiunto che non produce: «Per tutte le tecnologie avanzate, dipende per il 45% dall’Europa, per il 21% dagli Stati Uniti e per l’11% dalla Cina».

Questo spiega perché interi settori industriali russi sono in difficoltà tecnologica, dal gas (mancano le turbine tedesche, quindi, vero falso che sia, rubinetto chiuso per la Germania per 10 giorni) al settore petrolifero, fino al trasporto aereo, dove molti aeroplani civili vengono fermati per ricavarne i pezzi di ricambio necessari per far volare gli altri. L’alternativa che la Cina potrebbe offrire, sostiene Borrell, «rimane in realtà limitata, soprattutto per i prodotti di alta tecnologia». Il che porterà Putin a modificare i suoi obiettivi strategici, ma «probabilmente non nell’immediato futuro». Quando? Borrell: «Entro la fine del 2022 avremo ridotto le importazioni di petrolio russo del 90% e stiamo diminuendo rapidamente le importazioni di gas. Questa rapida uscita dalla dipendenza dell’energia russa crea anche serie difficoltà a molti paesi Ue. Ma questo è il prezzo da pagare per difendere le nostre democrazie e il diritto internazionale».

Per completezza, ci sono poi i prezzi che l’Occidente non vuole pagare, quanto meno per non suicidarsi. Il più importante, come è noto, riguarda l’acquisto del gas russo, nei confronti del quale non vi è stata alcuna sanzione, data la sua importanza per l’economia della Germania e dell’Italia. Ma c’è anche dell’altro: Stati Uniti e Ue, senza dare spiegazioni, finora hanno evitato di sanzionare anche una grande banca, la Gazprombank, diretta emanazione del colosso russo Gazprom, che per questo continua ad operare come prima, anzi più di prima della guerra. Tanto è vero che è attraverso questa banca che Putin sta pagando lo stipendio ai militari inviati in Ucraina, sia russi che alleati, come i ceceni.

Questo doppio ruolo di Gazprombank emerge da un’inchiesta giornalistica di Schemes, unità investigativa ucraina di Radio Liberty, l’emittente americana che opera in Europa dai tempi della guerra fredda. Il primo ruolo è noto a tutte le aziende Ue che importano gas russo: dopo il decreto di Putin sull’obbligo di pagare il gas in rubli, tali aziende hanno aperto due conti presso Gazprombank, uno in rubli e uno in euro. Per ogni acquisto, pagano in euro; poi è la stessa banca che cambia l’incasso in rubli, secondo la quotazione di Mosca. Un modo di agire che la Commissione Ue, dopo l’iniziale sbandamento, ha deciso di riconoscere come legittimo, poiché non violerebbe alcuna sanzione. Di fatto, una vittoria per Putin, che così ha fatto risalire anche la quotazione del rublo a prima della guerra.

Ma, grazie alla sanzione groviera, Gazprombank è diventata anche la banca con cui Putin paga i militari impegnati nella guerra in Ucraina. I giornalisti di Schemes ne hanno trovato le prove contattando direttamente alcune mogli di soldati impegnati in Ucraina, che su Vk (il Facebook russo) chattavano con le amiche di tali stipendi e delle indennità di battaglia. Ovviamente, si tratta di stipendi e di indennità pagate in rubli. E nessuna sanzione dell’Occidente potrebbe impedire alle banche russe di provvedere a tale servizio, ovviamente assai prezioso per Putin. Ciò che crea imbarazzo, sostiene Radio Liberty, non è l’aspetto giuridico, ma quello politico, in quanto il denaro che le aziende europee danno a Gazprom per acquistare il gas è lo stesso che poi, su richiesta di Putin, viene usato per pagare i soldati mandati ad aggredire l’Ucraina. Dietro Radio Liberty, secondo alcuni, vi sarebbero le pressioni Usa per convincere l’Ue a sanzionare anche il gas russo. E’ possibile. Tuttavia, anche se lo fosse, la sanzione groviera sulla banca russa non è meno imbarazzante.

 

Articolo pubblicato su italiaoggi.it

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