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Douglass

L’altra America raccontata da Frederick Douglass

Il Bloc Notes di Michele Magno

Frederick Douglass è l’afroamericano più famoso dell’Ottocento. Nasce schiavo nel Maryland. A vent’anni conquista la libertà fuggendo a New York travestito da marinaio e con documenti di nero libero. Stabilitosi in Massachusetts, comincia a lavorare come conferenziere itinerante per la American Anti-Slavery Society, e si afferma subito come oratore di grande successo. Autore di innumerevoli discorsi e articoli, diventerà uno stimato editore e un attivo sostenitore dei diritti delle donne, consulente di Lincoln durante la guerra civile e poi console ad Haiti.

La Narrazione è la sua opera più celebre. Pubblicata nel 1845, racconta un mondo alla rovescia, ossia una realtà opposta a quella celebrata nella storia ufficiale degli Stati Uniti, svelando la brutale centralità della schiavitù nella terra la cui Dichiarazione di Indipendenza (4 luglio 1776) recita: “Noi riteniamo che queste verità siano di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali e che sono dotati dal loro Creatore di certi inalienabili diritti, fra i quali quelli alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità”. Del resto, la schiavitù era un sistema di sfruttamento molto redditizio. Basti pensare che nel 1860, alla vigilia della guerra civile, il cotone costituiva il 60 per cento di tutte le esportazioni statunitensi, e alla base di questa ricchezza c’era appunto il lavoro non retribuito degli schiavi.

Come paradigma dell’oppressione della schiavitù Douglass non sceglie le violenze fisiche, bensì l’ignoranza e la disumanizzione imposte dalla cultura razzista dominante. Con una prosa concisa e dalla chiarezza esemplare, l’autore dedica pagine di tagliente ironia alla ipocrisia religiosa dei pastori protestanti che posseggono schiavi. Come osserva M. Giulia Fabi nella sua magnifica introduzione, la Narrazione è un testo letterario raffinato e complesso, la cui apparente semplicità rivela tanto la conoscenza che Douglass ha dei possibili pregiudizi del suo pubblico (e, in parte, anche degli alleati abolizionisti), quanto la sua abilità e decisione di aggirarli, invece di subirli.

Una delle ragioni della modernità di questa autobiografia risiede proprio nel metodo di lettura che essa presenta e al tempo stesso richiede. Per lo schiavo Douglass, imparare a leggere, nel senso più ampio del termine, è espressione e sinonimo di coscienza critica, affermazione consapevole della propria umanità, strumento fondamentale e irrinunciabile di resistenza all’oppressione, anche se poteva costare assai caro (“Ogni momento che passavano in quella scuola, rischiavano di venir presi e di ricevere trentanove frustate”).

Proprio in quanto ansia di giustizia e pedagogia della liberazione, il saper leggere rappresenta, oggi come allora, “un imperativo etico che lo scrittore Douglass consegna a sempre nuove generazioni di lettrici e lettori” [M. Giulia Fabi]. È così. Anche per questo mi pento di averlo incontrato troppo tardi.

 

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